Mario Del Pero

Presidenziali USA 2008, Istruzioni per l’uso, Parte I

In
una competizione elettorale come quella che ci apprestiamo a seguire, vince il
candidato che riesce a difendersi meglio, a non farsi travolgere dalle proprie
debolezze, a gestire la propria vulnerabilità e a non giungere logoro ed
esausto all’ultimo, cruciale mese di campagna elettorale. Quali sono, in
estrema sintesi, le principali debolezze e le principali forze di Obama e
McCain? Ne elenco in ordine causale alcune

 

Obama,
i contro

      Le lunghe primarie non solo hanno diviso i
democratici, ma hanno sfinito candidato, elettori e militanti. Per fortuna non
si porterà la partita a Denver. Tre settimane di vacanza, a guardare il
baseball e le finali NBA, ora come ora faranno comodo a tutti

    Obama è uno straordinario oratore, ma un modesto
(e talora pessimo) “debater”, soprattutto se costretto a stare entro i tempi,
secchi e stringenti, della televisione.

       La razza. È orribile dirlo, ma un qualche peso
lo eserciterà e sarà a suo svantaggio. Bisogna capire quale sarà questo peso,
ma i dati delle primarie qualche indicazione ahimé la offrono, soprattutto nel
Midwest bianco, rurale e post-industriale (in West Virginia, caso estremo ma
pur sempre indicativo, il 20% degli elettori delle primarie ha detto di essere
stato condizionato da fattori razziali nella sua scelta; 8 su 10 di coloro che
si collocano entro questo 20% hanno votato per Clinton).

        Nella vita, Obama ha scelto (perché di scelta si
è trattato) di essere prima di tutto un leader-afroamericano, ancorché di una
generazione nuova e più pragmatica. Inevitabilmente, ha costruito una rete di
relazioni inaccettabili per una parte dell’America mainstream, fatta tra gli
altri di reverendi incontrollabili ed ex-terroristi redenti.

        Obama non è tanto più inesperto di Clinton (ha
solo due anni di senato in meno) e non è vero che non abbia un programma
politico preciso e dettagliato (fate un giro sul suo sito web per vederlo).
Ma quella è un immagine che gli è stata cucita addosso e dalla quale farà molta
fatica a emanciparsi

         Alcuni gruppi fondamentali per il successo
democratico – ispanici, donne, bianchi con redditi bassi e scarsa istruzione –
lo guardano con diffidenza, come ben si è visto nelle primarie

 

Obama,
i pro


       Incarna come nessun altro la richiesta forte di
rottura e cambiamento. Anche da un punto di vista generazionale: è un leader
post-baby boom, post-Vietnam, post anni Sessanta/Settanta, con le loro guerre
politiche e culturali. Offre quindi una biografia che è simultaneamente di
rottura/discontinuità e di sintesi. Una biografia che una parte non
indifferente dell’elettorato vorrebbe ora fosse anche quella del paese.

       Nei numeri, nelle risorse, nella capacità di
mobilitazione, la base della coalizione obamiana – afro-americani ed elettorato
bianco con redditi medio-alti e istruzione universitaria – è più ampia ed
espandibile di quanto non si creda. Questo permette di mettere in gioco stati
(come la Virginia) dati per persi fino a poco tempo fa

      Non è un repubblicano [secondo gli ultimi gli
ultimi sondaggi il rapporto tra coloro che si qualificano come democratici e
quelli che invece si dichiarano repubblicani è di 41.7% a 31.6%; il rapporto
era 36.4 a 33.6 solo due anni fa ]

      Non ha votato a favore dell’intervento in Iraq,
anche se poi per un paio d’anni se ne è stato convenientemente zitto.

        
Ha (e avrà fino a novembre) una barca di soldi.

       Ha dimostrato una grande capacità d’intercettare
quel voto indipendente che è stato spesso fondamentale nelle elezioni
presidenziali.

–    La mappa elettorale in una certa misura lo può favorire. Se
riesce, come sembra, a mettere in gioco una parte del sud, gli swing states (e
i grandi elettori) che i repubblicani dovranno difendere sono più di quelli dei
democratici

       In novembre non si vota solo per la presidenza,
ma come ogni due anni si rinnova la camera e un terzo del senato (oltre
all’elezione di 11 governatori e a una miriade di elezioni statali e locali).
Secondo tutti i sondaggi si profila una nuova debacle per i repubblicani (che
hanno perso recentemente tre elezioni suppletive, anche in collegi a loro
tradizionalmente favorevoli). Un effetto traino su Obama ciò potrebbe averlo

        È un liberal sui temi etici, cari alla destra
religiosa. Destra che – a dispetto degli stereotipi da noi dominanti – è tanto
rumorosa, quanto minoritaria, come ben abbiamo visto in questi ultimi anni (a
partire dal caso Terri Schiavo).

 
McCain,
i pro


      Di nuovo è il candidato repubblicano maggiormente capace di tenere assieme e portare a sintesi le molteplici anime del conservatorismo statunitense.

    Per lo stesso motivo, e a dispetto dei suoi
tanti indietreggiamenti dell’ultimo biennio, rimane il candidato repubblicano
maggiormente capace di contrastare Obama tra gli indipendenti (e infatti aveva
un vantaggio ben chiaro su Clinton in questo gruppo di elettori)

      Per i blue-collar democratici, che tanta
diffidenza manifestano verso Obama, è il repubblicano di maggiore appeal

        Viene dalla Sunbelt, che ha pur sempre eletto
tutti i presidenti dal 1964 a oggi.

      La sua lunga carriera politica, la sua
attenzione ai temi della difesa e della sicurezza, il suo passato di eroe di
guerra, il suo nazionalismo, tanto semplice e old-style, quanto efficace e
potente: difficile immaginare un candidato capace più di McCain di offrire un
profilo alternativo a quello di Obama e di sfruttare le debolezze, reali
o presunte, del suo avversario. Stando all’ultimo sondaggio, sulla national
security il 51% trova McCain più credibile di Obama e solo il 37% preferisce
invece Obama. È questo un “credibility gap” di cui i democratici hanno sempre
sofferto e che la figura di Obama non aiuta a colmare.

 

McCain,
i contro


        
È un repubblicano

        L’età. Non bello dirlo, ma peserà. Soprattutto
per il contrasto stridente con la freschezza e la vitalità di Obama. E
comunque, la maratona per le presidenziali logora anche i più temprati.

      Bene o male, quello di novembre sarà anche un
voto su Bush. Il cui tasso di impopolarità supera oggi il 70%, la cifra più
alta mai raggiunta da un presidente nel dopoguerra (più di Truman nel 1951 o di
Nixon nel mezzo del Watergate, tanto per intenderci)

        
Ha una posizione a dir poco impopolare sull’Iraq

        
Ha posizioni sull’aborto, e promette nomine
conseguenti alla Corte Suprema se gliene sarà data l’occasione, che gli
renderanno a dir poco difficile conquistare il voto delle donne clintoniane,
per quanto critiche verso Obama esse siano.

      Analogamente, il suo indietreggiamento sui temi
dell’immigrazione ne pregiudica la capacità di conquistare il voto ispanico

        Appoggia la politica economica e i tagli alle
tasse di Bush. All’operaio bianco dell’Ohio che guadagna 30mila dollari lordi all’anno
potranno non piacere Obama, il suo accento, i suoi dotti sermoni, la sua
cravatta rossa e i suoi completi lindi e stirati. Ma nemmeno quelle di McCain
sono posizioni granché popolari

     I suoi voltafaccia dell’ultimo biennio (ad
esempio sulla tortura) ne hanno molto appannato l’immagine di maverick, onesto
e indipendente

 

Nel
prossimo post proverò a offrire qualche ipotesi sulla mappa elettorale e gli
stati che potranno risultare decisivi in autunno