Mario Del Pero

Obama e la riforma del sistema sanitario

Obama ha deciso d’investire
pesantemente nella battaglia politica per la riforma del sistema sanitario. Se
ne era finora tenuto ai margini, lasciando autonomia alla leadership
democratica al Congresso, auspicando la costruzione di un ampio consenso
bipartisan e sottolineando così la necessità che la riforma avvenisse in forma
il più possibile consensuale. Non è stato così. I democratici si sono rivelati
divisi e incerti. I repubblicani ritengono di avere finalmente individuato un
tema vincente, sul quale mettere in crisi il Presidente. L’opinione pubblica
assiste disorientata, timorosa di fronte a una riforma costosa e alla
prospettiva che essa sia finanziata con inevitabili aumenti dell’imposizione
fiscale, sia pure limitati ai redditi più alti.
Con il discorso di ieri
Obama ha reso chiaro che non si faranno marce indietro. Che sulla sanità nei mesi a venire si giocherà una partita politica decisiva, destinata a
consolidare la forza, politica e istituzionale, del Presidente o a indebolirlo
in modo rilevante, con gli inevitabili riverberi elettorali alle elezioni di
mid-term del 2010. I pilastri fondamentali del disegno di legge in discussione
sono tre: la creazione di un sistema di assicurazione pubblica, competitivo con
(e integrativo a) quelli privati; il divieto per le compagnie assicurative di
rifiutare la garanzia di copertura a malati cronici; la cancellazione dei
limiti sulla copertura massima offerta dalle compagnie. A ciò si dovrebbero
aggiungere una serie di economie di scala, attraverso un miglioramento delle
prestazioni mediche e un loro più rigoroso e severo monitoraggio.
Obama ha giustificato la
riforma presentandola sia come un imperativo morale sia, soprattutto, come una
necessità economica. Le spese sanitarie negli Stati Uniti sono da tempo fuori
controllo, eppure quasi 50 milioni di americani sono privi di assicurazione. I
costi dell’assicurazione medica pesano sulle imprese, in particolare quelle
piccole e medio-piccole, e, alzando il costo del lavoro, impediscono la
crescita dei salari e dei consumi.
La risposta repubblicana non
si è fatta attendere. Le obiezioni specifiche sono molteplici e vanno dalla
richiesta di porre dei limiti alla possibilità d’intraprendere azioni legali
contro medici e ospedali alla sollecitazione ad introdurre degli incentivi per
coloro che s’impegnano ad abbandonare comportamenti che facilitano la
diffusione di malattie altrimenti prevenibili. Lo scontro vero e proprio ruota
però ad alcune questioni generali, sulle quali si misurerà la portata del
cambiamento politico e culturale in atto negli Stati Uniti. Le critiche dei
repubblicani, infatti, non si concentrano solo sui costi previsti della
riforma, stimati tra i mille e i mille e cinquecento miliardi di dollari in un
decennio. Ad essere denunciata è la filosofia, che noi chiameremo statalista,
delle proposte democratiche. Alla mano pubblica si chiede non solo di svolgere
una funzione d’integrazione delle assicurazioni private, ma anche di competere
con esse, con l’obiettivo ultimo di ridurre i costi ed estendere la copertura.
È, questo, un Pubblico che non si limita quindi a un semplice ruolo di
regolamentazione e di supplenza, ma acquisisce un volto che, per una parte
rilevante del paese, rimane politicamente scorretto se non inaccettabile. E lo
fa – seconda questione nodale – imponendo un aumento dell’imposizione fiscale.
Si dibatte oggi delle modalità di questa tassazione straordinaria e della
soglia di reddito oltre la quale essa dovrà scattare: i 350mila euro per nucleo
familiare proposti in alcuni disegni di legge, il milione di dollari per
famiglia indicato ieri da Obama, le riduzioni delle deduzioni fiscali per le
assicurazioni più costose proposte da taluni. Chiedendo esplicitamente dei
soldi ai contribuenti si sfida però un altro tabù – quello della riduzione
delle tasse – che ha dominato il dibattito politico dagli anni Settanta e tanto
ha contribuito all’egemonia conservatrice dell’ultimo trentennio.
Sulla sanità Obama ha deciso
di rischiare come non aveva mai fatto in questi sei mesi di presidenza. Da
Truman a Clinton i presidenti democratici hanno sempre fallito nel loro
tentativo di creare un sistema sanitario universale. I mesi a venire ci diranno
se anche su questo Obama riuscirà a vincere una scommessa che, ora come ora,
appare davvero molto rischiosa.

[Il Mattino, 24 luglio 2009]