Mario Del Pero

Obama e la CIA

Il tema degli abusi commessi
dai servizi d’intelligence statunitensi nella lotta al terrorismo torna al
centro della scena. Obama ha deciso di sottrarre alla CIA le competenze sugli
interrogatori e di nominare un’apposita unità, che sarà coordinata dal
Consiglio di Sicurezza Nazionale e risponderà quindi direttamente alla Casa
Bianca. Pur con molti omissis è stato finalmente pubblicato il rapporto
elaborato dall’ispettore generale della CIA nel 2004, che rivela sia gli abusi
compiuti da alcuni agenti dell’agenzia durante gli interrogatori di sospetti
terroristi sia le divisioni presenti all’interno della CIA sui metodi
utilizzati e sulla loro legalità. Infine, il ministro della Giustizia Eric
Holder ha deciso di nominare un procuratore indipendente per decidere se
incriminare o meno gli agenti coinvolti negli interrogatori.
Obama avrebbe voluto evitare
tutto ciò. Le inchieste, e le inevitabili polemiche che le accompagnano,
rischiano di riaprire antiche ferite e inasprire lo scontro politico, acuendo
la polarizzazione partitica già in atto, proprio quando una qualche forma di
collaborazione bipartisan appare particolarmente necessaria per promuovere
alcune importanti riforme.
Lasciare alle spalle gli
anni di Bush e Cheney non è però possibile. Già irritata per altre concessioni
di Obama e per quello che ritiene essere un insufficiente impegno della Casa
Bianca sulla questione della riforma del sistema sanitario, la sinistra
democratica chiede un’indagine incisiva che vada ad accertare anche le
responsabilità della precedente amministrazione. Le influenti associazioni per
la difesa dei diritti umani e civili chiedono venga fatta luce sulle eventuali
illegalità compiute e beneficiano di un nuovo clima politico e culturale, nel
quale la giustizia si rivela assai più ricettiva verso le loro richieste. Soprattutto,
è ormai accertato che abusi e torture vi sono stati in quantità tale da non
poter più essere semplicemente rubricati come semplici errori o eccessi di zelo
di alcuni funzionari. Tra il 2001 e il 2004 agenti dei servizi d’intelligence e
contractors privati hanno torturato per estorcere informazioni a presunti
terroristi e lo hanno fatto con l’autorizzazione del dipartimento della
Giustizia e l’investitura – esplicita o meno questo è da accertare – delle più
alte cariche dello stato, a partire dal vice-Presidente, dal ministro della
Giustizia e da quello della Difesa.
Nell’occhio del ciclone vi è
ora la CIA. È uno strano destino quello dell’agenzia centrale d’intelligence. Essa
esce pesantemente indebolita dagli otto anni di Bush, durante i quali il suo
peso istituzionale si è molto ridotto. Ciò è però avvenuto per ragioni diverse
se non opposte tra loro. Fu infatti la prima amministrazione Bush a sottrarre
inizialmente competenze e funzioni a una CIA i cui analisti non offrivano quelle
stime sui programmi militari di Saddam Hussein richieste dal Pentagono e dalla
Casa Bianca per poter giustificare l’intervento militare in Iraq. Fu l’allora
direttore della CIA, George Tenet, a capitolare infine alle pressioni e a
fornire l’intelligence contraffatta sulle armi di distruzione di massa del
regime iracheno che gli sarebbero poi costate le dimissioni e avrebbero
grandemente indebolito la stessa agenzia. Ed è oggi la CIA a pagare più di
tutti per il coinvolgimento di alcuni membri della sua componente operativa in
un programma di lotta al terrorismo i cui metodi, ci rivela oggi il rapporto
dell’ispettore generale, molti all’interno della stessa CIA contestavano e
rigettavano.
Tra le funzioni non scritte
dell’agenzia d’intelligence vi è però anche quello di fungere da capro
espiatorio e di coprire chi ha responsabilità politiche. Accade oggi; è
accaduto più volte in passato. È però
possibile che ciò non basti. Un’inchiesta che si fermasse al primo livello di
responsabilità, agli esecutori materiali, difficilmente soddisferà i liberal e
le associazioni per la difesa dei diritti umani. Spingersi oltre rischia però
di scatenare una mezza guerra civile, come l’attivismo di Cheney e del mondo
conservatore mostra bene. Non fare nulla non era peraltro più possibile, sia politicamente
sia legalmente. E Obama si trova così suo malgrado ad affrontare dilemmi e
problemi di cui, oggi come oggi, avrebbe fatto volentieri a meno.

[Il Mattino, 26 agosto 2009]