Mario Del Pero

Il discorso di Obama e la riforma del sistema sanitario

Come già in passato, Obama ha deciso di affrontare un momento politico particolarmente difficile parlando alla Nazione. Perché di questo si è trattato. Non di un discorso a un Congresso riottoso, diviso e indisciplinato, i cui membri difficilmente cambieranno idea nelle settimane a venire. Ma un appello all’opinione pubblica e a coloro che pur non condividendo gli eccessi repubblicani di queste settimane, o addirittura votando democratico, guardano con perplessità alle proposte di riforma del sistema sanitario.
Come è possibile che sia così? Come si può essere scettici o perplessi verso una riforma di un sistema sanitario iniquo, inefficiente e straordinariamente costoso come quello americano? Un sistema che brucia il 16% del PIL, assorbe risorse ingenti delle imprese rendendole meno competitive, lascia quasi 50 milioni di americani privi di copertura alcuna e altre decine di milioni con un servizio talora scandalosamente parziale?
La risposta più comune che si sente in questi giorni è che le proposte in discussione vadano contro alcuni fondamentali principi statunitensi. Che esse assegnino al pubblico un ruolo e una presenza inaccettabili per gran parte degli americani. Che siano espressione di una filosofia “statalista” incompatibile con l’America: con la sua storia, i suoi principi e i suoi valori.
È però difficile credere che sia questo il vero problema. La mano pubblica è già fortemente presente nella sanità, con programmi fondamentali come Medicare e Medicaid. Le proposte in discussione sono moderate e assai lontane dal prospettare la creazione di sistemi pubblici simili a quelli europei, che una parte della sinistra democratica considera esempi da imitare. Nei mesi passati, la stessa opinione pubblica ha accettato forme ben più pesanti e invasive d’intervento pubblico, che hanno portato, di fatto, un presidente a licenziare l’amministratore delegato di General Motors e a dire quali auto la compagnia avrebbe dovuto produrre.
Il problema, e le conseguenti difficoltà politiche di Obama, risiedono altrove. E stanno nel fatto che una parte d’America è tutto sommato soddisfatta del tipo di copertura medica di cui essa oggi gode, mentre un’altra parte d’America guarda con estrema preoccupazione a un ulteriore aumento della spesa pubblica e alla crescita del deficit che ne conseguirebbe. Si tratta di due pezzi di Stati Uniti elettoralmente rilevanti e politicamente influenti. Forse i più importanti in assoluto. Da un lato abbiamo gli anziani, beneficiari dell’eccellente copertura sanitaria che Medicare garantisce nella quasi totalità dei casi, e quei lavoratori con alte qualifiche e redditi conseguenti che possono permettersi ottime assicurazioni o le ottengono tramite contratti di lavoro particolarmente favorevoli. Dall’altro abbiamo una fetta consistente d’elettorato indipendente, che di Bush aveva detestato anche l’irresponsabilità fiscale e che è spaventata dai costi potenziali della riforma sollecitata da Obama. I repubblicani hanno compreso di poter sfruttare questa situazione per uscire da una condizione di marginalità in cui erano stati relegati negli ultimi mesi. Hanno offerto una giustificazione ideologica a perplessità che spesso ideologiche non sono. Lo hanno fatto con una violenza e una radicalità per certi aspetti sconcertanti, ma che superata la tempesta potrebbero anche finire per nuocere loro.
Non era però a questi repubblicani che Obama si rivolgeva ieri, se non quando denunciava con asprezza le menzogne, il cinismo e l’irresponsabilità di chi spesso guida la mobilitazione contro la riforma. La moderazione del discorso di Obama non era diretta ai membri repubblicani del Congresso, con i quali sarà assai difficile costruire qualsiasi collaborazione bipartisan. Serviva invece a placare le paure di chi è ostile alla riforma perché ne teme le conseguenze, in termini di costi e di peggioramento del servizio di cui una parte d’America – non la totalità, ma una parte rilevante – oggi beneficia. E serviva anche a offrire una sintesi alle varie anime di un partito, quello democratico, indisciplinato e privo di leadership, che in questi mesi non ha offerto un grande spettacolo al Congresso.
Le difficoltà di Obama sono evidenti. Le lobby assicurative sono mobilitate per affondare la riforma. Tra i pezzi d’opinione pubblica che la osteggiano vi sono spesso cittadini attivi politicamente, capaci di essere coinvolti in forme d’azione assai incisiva. Tra i democratici prevalgono non di rado interessi di bottega e la posizione di molti parlamentari è condizionata da considerazioni elettorali, che s’intensificano all’approssimarsi della scadenza elettorale del 2010. Obama ha mostrato ieri di voler svolgere un ruolo attivo e diretto nella contesa. Nella consapevolezza che un fallimento avrebbe delle ripercussioni pesanti per la sua amministrazione, ma addirittura devastanti per il partito democratico.

Il Mattino, 11 Settembre 2009