Mario Del Pero

Obama e il nucleare

Obama è stato di
parola e ha messo la questione nucleare al centro della sua agenda politica.
All’inizio della settimana è stata annunciata la revisione della strategia
nucleare statunitense (la Nuclear Posture Review), che fissa condizioni più
stringenti al possibile uso di armi nucleari e impegna a ridurre il ruolo di
tali armi nelle future strategie di sicurezza degli Stati Uniti. Ieri è stato
firmato l’accordo con la Russia
per una nuova riduzione dei rispettivi arsenali nucleari; infine, Obama ha da
tempo espresso l’intenzione di svolgere un ruolo di primo piano nella
conferenza internazionale sulla non-proliferazione del maggio prossimo.

A destra si
denuncia la svolta obamiana, presentandola come un’abdicazione unilaterale del
primato statunitense, destinata a rendere gli avversari di Washington ancor più
spregiudicati e intraprendenti. A sinistra l’apprezzamento è parziale e
qualificato: i termini dell’accordo con Mosca sono considerati troppo timidi;
soprattutto, si critica la decisione di Obama di non rinunciare apertamente
alla possibilità per gli Usa di utilizzare le armi nucleari come “primo colpo”,
anche in risposta a un attacco non nucleare. Commentatori autorevoli, come lo
scienziato politico realista Stephen Walt, presentano il nuovo approccio di
Obama come un esercizio di “pubbliche relazioni”, potenzialmente utile, ma
“insignificante” se valutato da una “prospettiva strategica”.

La
Nuclear
Posture
Review di Obama è il frutto di molte mediazioni
e compromessi; in quanto tale non poteva offrire discontinuità radicali con il
passato né evitare di contenere passaggi ambigui e talora vaghi. L’accordo con la Russia doveva a sua volta
tener conto delle posizioni della controparte, restia a limitare quel retaggio
della guerra fredda – le armi nucleari – che, assieme alle sue risorse
energetiche, rappresenta il principale elemento di potenza di cui Mosca oggi ancora
dispone. E non poteva non tener conto delle resistenze, presenti e future, che
permangono all’interno degli stessi Stati Uniti: saranno infatti necessari i
voti dei 2/3 dei senatori presenti in aula per ratificare il trattato e molti
repubblicani hanno già espresso la loro ritrosia ad avallare un accordo che
limita le capacità statunitensi e offre un altro successo politico a Obama.

Eppure, la svolta
c’è e non può essere sottostimata. Sarà primariamente simbolica, come asserisce
Walt, ma proprio la natura precipuamente simbolica delle armi nucleari ce ne mostra
immediatamente la rilevanza. La simbologia che accompagna scelte e retorica di
Obama è infatti importante e rivelatrice. In primo luogo, Obama torna a
ribadire, in modo netto e inequivoco,  l’anormalità
dello strumento nucleare: un mezzo il cui uso può essere contemplato solo in
casi straordinari, si afferma nella Nuclear
Posture Review
, contro paesi che non rispettano il trattato di
non-proliferazione nucleare (il riferimento è ovviamente a Iran e Corea del
Nord). Venuta meno questa straordinarietà scompariranno le condizioni che
rendono pensabile una funzione del nucleare altra da quella della semplice
deterrenza di potenze parimenti dotate di armi nucleari. Il contrasto con gli
anni di Bush e Rumsfeld – la
Nuclear Posture
Review del 2002 presentava le armi
nucleari come “opzioni militari credibili per impedire una vasta gamma di
minacce” e invocava “maggiore flessibilità” rispetto al loro possibile uso – è
davvero stridente.

Nel momento in cui si enfatizza l’anormalità delle
armi nucleari si torna esplicitamente a distinguerle da quelle chimiche e
biologiche, evitando di ricorrere alla categoria – semplicistica e
mistificatrice – di “armi di distruzione di massa”, che l’amministrazione Bush
usò invece con superficialità e spregiudicatezza. Le implicazioni diplomatiche
sono altresì rilevanti: si ricostruisce un rapporto fondamentale con la Russia, utile in
particolare per la gestione dello scottante dossier iraniano, e si mettono
ancor più in un angolo stati non collaborativi come, appunto, l’Iran e la Corea del Nord. Soprattutto,
si matura un capitale di credibilità vitale per intraprendere iniziative
globali e multilaterali di disarmo e non-proliferazione. Per promuovere con
efficacia tali iniziative, e per ri-assumere pienamente l’iniziativa politica e
morale, è infatti indispensabile agire in modo coerente, evitando doppi standard
in nome dei quali a taluni – gli Usa, ma anche Israele – sono permessi
comportamenti e scelte che diventano intollerabili se intrapresi da altri. Sentire,
dopo più di un decennio, un presidente statunitense che torna a parlare di
non-proliferazione e che s’impegna a sottoporre al Senato la ratifica del
trattato che mette al bando i test nucleari (il Comprehensive Test
Ban Treaty,
firmato quasi quindici anni fa) rappresenta una novità significativa e
apprezzabile. E apre, va da sé, un altro fronte politico interno che impegnerà
Obama e i democratici nei mesi a venire. Destino inevitabile per una presidenza
non solo ambiziosa, ma che, dopo il successo sulla sanità, sembra avere
finalmente ripreso nelle proprie mani i tempi del dibattito politico interno,
troppo a lungo lasciati in quelle degli avversari conservatori.

[Il Mattino, 9 aprile 2010]