Mario Del Pero

Obama & Osama, Part II

Bin Laden lo avevamo quasi dimenticato. Lo credevamo morto o sepolto vivo in una qualche caverna al confine tra Pakistan e Afghanistan. E comunque la sua immagine ci appariva lontana e sfocata: figlia di un’epoca già superata. Non era così per gli Stati Uniti. Che hanno continuato a dargli la caccia; e per i quali quell’immagine è rimasta nitida e vivida. Ha rappresentato quasi un’icona: un’“immagine pop” l’ha definita oggi un mio studente. Il simbolo estremo e riunificante di tutto il male che ha colpito l’America. L’immagine, potentissima, capace di sintetizzare quel che il terrorismo islamista è stato e potrà essere. E l’esultanza – in una certa misura sguaiata ed eccessiva – con cui ne è stata accolta la morte negli Usa è lì a rivelarci la potenza simbolica di quell’immagine: di quel volto. Emblema di un male di cui si deve celebrare l’eliminazione per esorcizzarlo e allontanarlo definitivamente.

Ma l’eliminazione di Bin Laden viene festeggiata non solo per sete di vendetta. Con la brillante operazione dei Navy Seals, l’America – quell’America tormentata e in crisi degli ultimi anni – torna a sentirsi orgogliosa. A rivendicare la propria grandezza. Anche per questo aveva eletto Obama nel 2008. Per riaffermare la propria unicità; per mostrare la capacità di rinascere: dopo l’11 settembre, dopo il flop iracheno, dopo New Orleans sott’acqua, dopo l’imbarazzante George Bush. Un paese, per essere unito, ha bisogno di esser orgoglioso: di se stesso, delle proprie istituzioni, dei propri rappresentanti. Del proprio presidente, che negli Stati Uniti rappresenta e simboleggia l’unità del paese: è lo specchio simbolico in cui la nazione sceglie di vedersi e immaginarsi.

E il presidente è il grande vincitore politico di questa operazione. Diviene, improvvisamente, comandante in capo: credibile e vincente presidente di guerra. Guida di un paese che, nel festeggiare e nel ritrovare temporaneamente la coesione perduta, si raccoglie attorno a lui. A ciò serve la furba coreografia allestita per l’occasione: le fotografie di Obama e del suo staff, tesi e dignitosi, che seguono attentamente l’evolversi dell’operazione.

Tutto ciò non durerà. Il paese tornerà presto a dividersi. Obama beneficerà indubbiamente del rilevante capitale politico maturato; ma non vincerà certo le elezioni del 2012 grazie all’eliminazione di Bin Laden, come afferma oggi qualche commentatore facilone e superficiale. Quelle elezioni sono troppo lontane per discuterne seriamente oggi. E proprio l’eliminazione di Bin Laden, e le modalità che l’hanno permessa e con le quali è stata presentata e celebrata, porranno problemi di non poco conto agli Usa e alla loro politica estera. Li espongono al rischio di inevitabili rappresaglie terroristiche; rischiano di alimentare un nuova ondata di anti-americanismo in risposta al patriottismo sopra le righe cui l’America ha dato sfogo in queste giornate; rilegittimano le pratiche più controverse della guerra al terrore di Bush e Cheney (a quanto sappiamo sono stati i metodi aggressivi d’interrogazione di sospetti terroristi – di fatto la tortura – a permettere di ottenere le informazioni vitali per individuare il nascondiglio di Bin Laden). Dilemmi futuri, questi. Per intanto, l’America festeggia, celebra e si riscopre unita e orgogliosa.

Il Giornale di Brescia, 4 maggio 2011