Mario Del Pero

In autobus per il Midwest

Riattivare lo spirito e l’entusiasmo del 2008. Togliere dai riflettori le primarie repubblicane, che hanno occupato la scena dopo la discesa in campo del governatore del Texas, Rick Perry, e l’informale consultazione elettorale vinta da Michelle Bachmann in Iowa. Sfruttare a proprio vantaggio le tossine lasciate dall’orribile discussione sull’aumento del tetto del debito pubblico (stando agli ultimi sondaggi, la disapprovazione nei confronti del partito repubblicano è infatti schizzata al 60% e la fiducia nei confronti del Congresso si colloca al 13%, il minimo storico).

A questo deve servire il coreografico viaggio intrapreso da Barack Obama in Iowa, Illinois e Minnesota. Viaggio che segue un importante discorso tenuto dal presidente in un altro stato del Midwest, il Michigan. E che precede un pacchetto di proposte sull’economia che Obama annuncerà a inizio settembre.

Obama vinse facilmente questi stati nel 2008, con margini di vantaggio che andarono dal 9.5% dell’Iowa al 25% dell’Illinois. Una vittoria che fece da traino alla conquista, decisiva, del Midwest industriale e post-industriale, inclusi stati cruciali come l’Ohio e la Pennsylvania. Un’area, però, pesantemente colpita dalla recessione post-2008. E un’area dove si manifesta quella che è, oggi, la doppia vulnerabilità elettorale di Obama, causata dalla disillusione di una sinistra democratica sconcertata e arrabbiata per i suoi mille compromessi e concessioni, e dalla rabbia e mobilitazione di una destra che lo ritiene responsabile primo dell’aggravarsi e protrarsi della crisi.  

Nell’ultima settimana sono apparsi molti articoli e commenti su una presunta divisione all’interno dell’amministrazione tra chi sosterrebbe la necessità, e convenienza elettorale, della moderazione post-partitica fatta propria da Obama in questi mesi e chi invece chiede un cambiamento di rotta, con l’adozione di una linea più aggressiva, pugnace e intransigente. Dall’atteggiamento tenuto durante questo viaggio, oltre che dal tono e contenuto del suo messaggio, Obama sembra aver scelto la seconda opzione. Lo ha fatto per ridare energia a un elettorato democratico disilluso e sfiduciato; per sfruttare l’irritazione verso l’irresponsabilità e il radicalismo dei repubblicani; per polarizzare lo scontro politico, spostando ancor più a destra un partito repubblicano già ostaggio delle sue frange più estreme; perché in tempi di crisi, infine, un messaggio populista può aiutare alle urne. Ecco quindi il ritorno della celebrazione dell’uomo comune, contrapposto alle avide corporation. Ecco la denuncia della politica spregiudicata e poco lungimirante, che antepone l’interesse particolare a quello generale, il calcolo contingente alle necessità di lungo periodo. Ecco, anche e in parte inattesa, la celebrazione del governo della gente e dei lavoratori: “il governo e la politica sono due cose diverse”, ha affermato Obama nel suo discorso in Minnesota. “Il governo sono le nostre truppe che combattono per noi in Afghanistan e in Iraq … sono le nostre pensioni. Gli insegnanti nelle aule. I nostri vigili del fuoco e i nostri poliziotti. Coloro che mantengono le nostre acque e la nostra aria pulite … Questo è il governo”.

È una strategia rischiosa. Una retorica populista e anti-politica, che contrappone Washington al resto del paese, si può facilmente ritorcere contro l’istituzione più alta, la Presidenza, come di fatto è avvenuto in questi ultimi mesi. Ed è una strategia per la quale l’algido e dotto Obama non sembra particolarmente predisposto. È però anche l’unica strategia davvero possibile per un presidente che ha subito negli ultimi mesi alcune pesanti sconfitte politiche, in un’America impaurita e arrabbiata, che dei compromessi al ribasso offerti ultimamente da Obama non sa davvero più cosa farsene.

Il Mattino, 18 agosto 2011