Mario Del Pero

La comprensibile ma effimera protesta degli indignados di Wall Street

Gli ultimi dati sulla povertà negli Usa offrono un quadro che preoccupa e sconcerta al tempo stesso. Più del 15% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, che colpisce soprattutto le minoranze afroamericana (27%) e ispanica (25%). E che è particolarmente marcata nelle aree urbane e tra i bambini. Nelle ultime quattro decadi, il tasso di povertà infantile è oscillato tra il 15 e il 23%, tornando a crescere nell’ultimo decennio dopo che era calato in modo significativo durante gli otto anni di presidenza Clinton (dal 21 al 16%)  A questa povertà corrisponde uno scarto tra redditi più alti e redditi più bassi che è ai livelli degli anni Venti del Novecento. Crescita della povertà e macroscopiche forme di diseguaglianza caratterizzano, in altre parole, la società statunitense oggi.

È un processo che si è dispiegato negli ultimi trenta/quarant’anni, in conseguenza di trasformazioni strutturali dell’economia statunitense e mondiale – che hanno di fatto aumentato il gap tra lavoratori con alti livelli d’istruzione e qualifica professionale e lavoratori generici e non qualificati – ma anche di precise scelte politiche, dai tagli alle tasse sui redditi e capitali alla deregulation del settore finanziario.

Il dinamismo della società statunitense, i consumi crescenti (ancorché a debito) e la capacità della destra d’imporre il proprio discorso – di fare, in altre parole, egemonia culturale – hanno reso tutto ciò socialmente e politicamente tollerabile. La crisi del 2007-2008 e quel che ne è seguito hanno però fatto scoppiare queste storture e contraddizioni. Contribuendo ad attivare forme di protesta assai diverse tra le quali è ora possibile includere anche quelle dei giovani, e francamente assai ‘acerbi’, indignados di Wall Street. È una protesta, quest’ultima, fragile e confusa, nei toni genericamente populisti così come nei contenuti a dir poco vaghi. Esprime rabbia, malessere e indignazione che sono comprensibili e giustificabili; ma per il momento offre davvero poco in termini di proposta. E probabilmente avrebbe attratto assai meno attenzioni se non vi fosse stata la reazione – ottusa e sproporzionata – delle forze dell’ordine.

Come si spiega questa debolezza, manifestatasi in uno spontaneismo che può generare simpatia e solidarietà, ma che difficilmente si traduce in effettiva capacità di mobilitazione e di azione politica?

In primo luogo, agisce un trentennio di disaggregazione e frammentazione sociale, che rende problematico e quasi impossibile promuovere forme collettive di protesta incisive e non velleitarie. In secondo luogo, il malessere e l’incattivimento della società statunitense è stato in parte già intercettato da una destra che lo ha rivoltato contro la politica e lo stato, sfruttandolo per rilanciare la sua campagna ormai quarantennale per i tagli alle tasse, lo smantellamento del welfare state e l’ulteriore riduzione del ruolo del pubblico. Infine, questi ragazzi che protestano – ingenuamente ma con passione – si trovano di fatto privi di interlocutori politici e sociali. Che non di rado esistono a livello locale, su questioni specifiche (si pensi solo alle tante vittorie di movimenti ambientalisti dagli anni settanta a oggi); ma che mancano quando il terreno e l’oggetto del contendere si estendono a questioni più ampie e generali. Deboli sono i sindacati, vittime di decenni di sconfitte politiche oltre che del loro patologico corporativismo; debole è la politica, rinchiusa nelle sue stanze e sempre più lontana dal paese reale. Ora la sinistra newyorchese – i sindacati, l’associazionismo e il volontariato, i movimenti pacifisti – sembra volersi mobilitare a sostegno degli indignados, con l’obiettivo di disciplinarne l’azione, sfruttarne il malessere e canalizzarne la passione. Difficile che ciò accada. Nondimeno, la politica e Wall Street dovranno riuscire a offrire risposte vere a questa protesta per recuperare un credito e una credibilità ormai in gran parte perduti.

Il Giornale di Brescia, 6 ottobre 2011