Mario Del Pero

L’incontro Geithner-Monti

L’incontro tra Mario Monti e il segretario del Tesoro statunitense Timothy Geithner non ha rappresentato in sè nulla di straordinario o di atipico. Nel suo viaggio europeo Geithner sta incontrando i principali leader dei paesi europei con l’intento di sollecitarli ad adottare forme più incisive di risposta alla crisi del debito. Gli Usa, e l’amministrazione Obama, osservano infatti la complessa situazione europea con attenzione e preoccupazione crescenti. Sanno che nella rete d’interdipendenze correnti eventual default europei, e una conseguente crisi dell’euro, avrebbero riverberi globali e finirebbero per colpire pesantemente gli stessi Stati Uniti. Numerosi istituti finanziari statunitensi sono oggi esposti con investimenti in titoli europei. Dopo il 2008, la moneta unica è parsa anzi rappresentare una forma d’investimento sicura: una delle poche certezze in mezzo alla temperie di allora. Acquistare titoli nazionali europei apparve all’epoca una scelta non solo saggia, ma finanche cauta e conservativa. Salvo poi vedere fallire grandi broker, come “MF Global” guidata dall’ex amministratore delegato di Goldman Sachs (oltre che governatore e senatore del New Jersey), Jon Corzine, che proprio in Europa (e sull’Europa) avevano pesantemente investito e scommesso.

Ai possibili riverberi finanziari, al rischio cioè che la crisi del debito in Europa si estenda a banche e investitori statunitensi, si sommano quelli commerciali. Una nuova recessione europea andrebbe a colpire una ripresa economica globale che si muove lentamente e a singhiozzo. Con essa diventerebbe virtualmente impossibile un’uscita dalla crisi degli stessi Stati Uniti. Sulla quale, è bene ricordarlo, Obama si gioca probabilmente la rielezione nel 2012. Criticato da chi, come Giscard d’Estaing, lo considera un’indebita ingerenza esterna, lo spiegamento di forze statunitensi in Europa (il vice-presidente Biden era ad Atene, lunedì scorso per incontrare il primo ministro Papademos) si spiega anche con considerazioni di tipo elettorale, come hanno peraltro candidamente ammesso alcuni consiglieri di Obama. Se l’Europa entra in recessione diventerà quasi impossibile per gli Usa avere l’ulteriore, ancorché limitata, riduzione del tasso di disoccupazione di cui Obama ha disperato bisogno. Infine, i riverberi potrebbero non essero solo economici ed elettorali, ma anche geopolitici. Le relazioni transatlantiche rischiano infatti di risultare ulteriormente danneggiate da una crisi europea, proprio quando Europa e Stati Uniti si trovano a fronteggiare un complesso arco di crisi e instabilità, che si estende dal Nord Africa al Medio Oriente finanche alla Russia.

In tutto ciò, l’Italia rappresenta ovviamente l’anello debole: la casella che potrebbe far crollare l’intero domino. L’endorsement pubblico di Geithner a Monti – figura, ha dichiarato il segretario del Tesoro statunitense, dotata “di molta credibilità nel mondo” – serve a rafforzare il nostro Primo Ministro, fuori e dentro l’Italia. E serve a ribadire ad Angela Merkel quale è la posizione degli Stati Uniti, che alla Germania chiedono di abbandonare finalmente rigidità e dogmatismo, per salvare l’Europa e l’euro e, incidentalmente, aiutare Obama alle urne. Non esplicitato ma evidente vi è però anche un ultimo aspetto nella visita di Geithner che non può passare inosservato. Ci piaccia o non ci piaccia, difficilmente la Casa Bianca si sarebbe esposta (e si sarebbe potuta esporre) così se vi fosse stato ancora Berlusconi a Palazzo Chigi. E questo ci ricorda ancora quanto abbiano pesato le dinamiche esterne nell’ultima crisi politica italiana e cosa voglia dire, oggi, stare entro un sistema internazionale sempre più condizionante in termini di vincoli e di sovranità.

Il Messaggero, 9 dicembre 2011