Mario Del Pero

Romney, Obama e l’antipolitica

Ormai quasi tutti i sondaggi danno Obama e Romney alla pari. Alcuni, come l’ultimo del New York Times e della CBS , vedono addirittura Romney davanti (45 a 43). Obama rimane lievemente favorito: la mappa elettorale gioca a suo favore e tra gli stati davvero in palio – i cosiddetti swing states che decideranno le elezioni in novembre –  sono molti di più quelli che Romney deve conquistare per poter ambire alla Presidenza. Nondimeno la partita è apertissima, più di quanto non si potesse immaginare solo qualche mese fa.

È una sfida aperta tra due candidati però assai deboli. Il 48% degli intervistati dello stesso sondaggio New York Times/CBS ha un’opinione negativa di Obama (solo il 36% ne ha una favorevole). Appena il 32% ha tuttavia un’opinione positiva del suo avversario e addirittura il 57% ritiene che Romney non abbia solide convinzioni politiche e dica “ciò che la gente vuole sentirsi dire” e non ciò a cui “crede veramente”.

La debolezza dei candidati è misura ed espressione di una più generale sfiducia nei confronti della politica e delle stesse istituzioni. Il tasso di approvazione del Congresso è ai suoi minimi storici (il 12% contro il 79% di disapprovazione) ed è difficile trovare oggi un’istituzione più criticata e, anche, delegittimata.

In prospettiva elettorale, questo stato di cose danneggia maggiormente il Presidente in carica. Che è certo vittima dei suoi tanti errori: dello scarto macroscopico tra promesse e scelte, aspettative e risultati. E che – va a detto a sua difesa – si è dovuto spesso confrontare con un Congresso straordinariamente litigioso, diviso e in ultimo ostruzionista. Ma è proprio la diffusa, consolidata anti-politica a costituire oggi il nemico più forte e pericoloso di Obama: l’ostacolo principale a una sua possibile rielezione. Un’antipolitica che Obama sfruttò abilmente nel 2008, con le sue radicali promesse di cambiamento e discontinuità, e che ora però gli si ritorce contro, anche perché il bersaglio ultimo di questa antipolitica non  può che essere il Presidente.

Da dove origina questo potente populismo anti-politico e quali possono essere le sue implicazioni, oltre a quella d’indebolire Obama alle urne? È chiaro che le difficoltà economiche degli ultimi anni sono la matrice primaria della protesta che alimenta questo rigetto della politica e dei suoi rappresentanti. Il paradosso è che a questa politica, debole e appunto delegittimata, si chiede molto e, in periodi di crisi, anche di più. Sempre nel sondaggio New York Times/CBS, alla domanda se il presidente possa incidere in modo rilevante sullo stato dell’economia il 51% ha risposto in modo affermativo e solo il 40% ha detto il contrario. Allo scarto tra aspettative e risultati si aggiunge in altre parole quello tra ciò che si ritiene siano le possibilità dell’azione di governo e i suoi atti concreti. La politica e, di nuovo, le istituzioni diventano il simbolo di un’inefficacia figlia di incompetenza, disonestà, insufficiente attenzione verso l’interesse generale. Anche perché questa politica, e queste istituzioni, danno quotidianamente povera prova di sé, alimentando un teatrino che anche negli Usa sembra aver superato il tasso di sopportazione dei cittadini. Un teatrino alimentato da un circo mediatico spesso fazioso e urlato, dove il rumore della notizia è non di rado inversamente proporzionale alla sostanza della stessa. La politica buona e responsabile ne risulta inevitabilmente marginalizzata. Rappresentazione grossolana e urlata della politica e protesta anti-politica finiscono così per alimentarsi a vicenda. L’algido e dottorale Obama ne risulta spesso schiacciato; a sua volta, il goffo e robotico Romney non si trova particolarmente a proprio agio, pur sfruttando il vantaggio relativo di cui gode lo sfidante. Due candidati deboli che si sfidano di fronte a un elettorato incattivito e disilluso, valanghe di dollari gettati al vento, la voglia e il desiderio che la politica conti, la rabbiosa sensazione che essa lo faccia nel modo sbagliato.

Il Giornale di Brescia, 27 luglio 2012

1 Commento

  1. Andrea Fumarola

    Purtroppo questo teatrino di “sound bites”, di immagini che trionfano sulla parola, di scandali e propaganda quasi hollywoodiana è l’essenza stessa della politica americana, o meglio, della campagna elettorale americana. E’ questo il modello che in Europa – e soprattutto in Italia – si è lentamente affermato, a scapito di una politica fatta di maggiori contenuti e che, seppure in presenza di leader in calo di consensi come Obama, sarebbe rimasta oggi una nave stabile nella tempesta dell’antipolitica.

i commenti sono chiusi