Mario Del Pero

Paul Ryan for Vice-President

Il candidato alla vice-presidenza non fa vincere le elezioni, ma può contribuire a farle perdere, come scoprì nel 2008 John McCain quando compì l’errore di scegliere Sarah Palin. Proprio la lezione del 2008 ha indotto Mitt Romney e i suoi consiglieri a valutare a lungo, e con estrema attenzione, tutti i possibili candidati, per evitare di ripetere simili
passi falsi. La scelta del deputato del Wisconsin, Paul Ryan, appare però in una
certa misura temeraria: indicativa oggi di una debolezza, che i sondaggi implacabili evidenziano, più che di una forza.

Ryan è uno dei giovani turchi che nell’ultimo biennio hanno reso impossibile la vita sia a Obama sia alla leadership repubblicana al Congresso. Esponente liberista e conservatore,
esperto di questioni di bilancio e presidente della commissione competente della Camera, Ryan ha dato il suo nome a un ambizioso progetto di tagli alla spesa pubblica, eccezion fatta per quelle militari, e di riduzioni delle tasse per i redditi più alti. Un piano denunciato, ovviamente, da Obama e dai democratici, criticato dalla gran parte degli economisti, ma trasformatosi rapidamente in ortodossia incontestabile all’interno di un partito repubblicano spostatosi sempre più verso destra.

Cosa dà e cosa toglie Ryan a Romney in prospettiva elettorale? Quattro aspetti meritano di essere qui evidenziati.

La scelta di Ryan garantisce che la destra repubblicana e il Tea Party sosterranno con convinzione Romney. Ryan è il candidato che essi chiedevano. Ed è un candidato capace di portare a sintesi le diverse anime di questa destra: i neoconconservatori ne apprezzano la
visione di politica estera e il suo sostegno ad alte spese nel settore della difesa; i liberisti la sua intenzione di ridurre il welfare e tagliare le tasse; la destra cristiana le sue posizioni inflessibili sull’aborto. La sua competenza in materia di bilancio e la sua volontà di diminuire drasticamente il debito pubblico possono attrarre una parte del voto indipendente, che a questi temi assegna oggi un’assoluta priorità e che non ha trovato nel partito repubblicano un referente credibile, visto che da Reagan in poi è stato,
paradossalmente più dei democratici, il partito del debito e dei deficit. Ryan è giovane (ha 42 anni) e carismatico. Come si è visto nel suo primo intervento assieme a Romney, può dare vitalità ed entusiasmo a una campagna elettorale apparsa sinora monocorde e spesso passiva di fronte agli attacchi, non di rado spregiudicati e brutali, dei democratici. Infine, la scelta di Ryan si spiega anche con l’attuale mappa elettorale del paese. Può mettere in gioco uno stato importante come il Wisconsin e aiutare più in generale nel Midwest dove sono in palio, e a oggi incerti, stati fondamentali quali l’Ohio e la Pennsylvania.

Proprio la carta elettorale, però, ci rivela i rischi di questa scelta. Un ruolo decisivo in novembre lo avrà infatti l’elettorato ispanico, passato da 13 a 21 milioni di votanti in un
decennio. Per questo molti pensavano che Romney potesse scegliere il giovane senatore
della Florida, Marco Rubio. Ryan, con le sue posizioni estreme in materia di welfare e di politiche fiscali, rischia di allontanare questo elettorato ancora di più dai repubblicani. Le sue proposte di privatizzare in parte la previdenza – il Social Security – e di tagliare i programmi di assistenza medica ad anziani e indigenti – Medicare e Medicaid – estende questo possibile effetto ad altre fasce della popolazione, che già in passato hanno dimostrato forte ostilità alle proposte di Ryan. La cui scelta sbilancia decisamente a destra il ticket presidenziale, con tutti gli effetti potenziali del caso: polarizzazione politica, piena mobilitazione della controparte, maggiore difficoltà a occupare il cruciale spazio politico di mezzo. Infine, Ryan può spingere ancor più verso i democratici quel voto femminile e giovanile che costituisce il vero pilastro della coalizione elettorale obamiana. Ryan è un liberista, ma non un libertarian: ha assunto in materia di aborto posizioni davvero estreme, che una parte maggioritaria di donne e under-30 rigetta fermamente.

La competizione rimane certamente aperta. La debolezza di Obama è evidente. La scelta di Ryan non è la mossa della disperazione, come fu Palin nel 2008 o Geraldine Ferraro nel 1984. Ma indica, questo sì, una debolezza di Romney che lo ha indotto a correre un
rischio significativo e, fino a poco tempo fa, inimmaginabile.

Il Mattino, 13 agosto 2012