Mario Del Pero

Quattro anni di Obama: un bilancio

È al massimo una sufficienza stiracchiata quella che Barack Obama può ottenere per i suoi quattro anni di governo. Non mancano di certo le giustificazioni al presidente statunitense. Le aspettative, lo si sapeva, erano eccessive e irrealistiche; la crisi finanziaria post 2008 davvero devastante; il lascito dei fallimenti di Bush – il presidente in scadenza di mandato più impopolare da quando esistono i sondaggi – molto complicato da gestire. Il quadro politico non ha a sua volta aiutato Obama. I democratici si sono mostrati una volta ancora divisi, litigiosi e indisciplinati, e poco abili nello sfruttare la chiara maggioranza congressuale di cui hanno goduto tra il 2008 e il 2010. I repubblicani sono apparsi talora quasi caricaturali nel loro estremismo – a rileggerlo e compararlo con quello approvato alla convention di Tampa, il programma di Reagan del 1980 sembra quasi di sinistra – e hanno spesso optato per la strada dell’ostruzionismo pregiudiziale.

Obama ha però difettato di leadership. Si è rivelato eccessivamente cauto e pragmatico per fare pieno uso della passione e dell’entusiasmo mobilitati nel 2008; ma anche troppo fragile e, talora, ingenuo per avere la meglio nei negoziati con la controparte repubblicana, soprattutto dopo la riconquista da parte di quest’ultima della maggioranza alla Camera dei rappresentanti nel 2010.

I successi ci sono indubbiamente stati, sul piano interno così come su quello internazionale. In politica estera Obama ha ripristinato l’immagine internazionale degli Stati Uniti, pesantemente danneggiata dall’unilateralismo e dagli errori di George Bush. Ha adempiuto all’impegno di portare a termine l’intervento in Iraq; ha negoziato con la Russia un importante accordo sulla riduzione delle armi nucleari, ottenendone poi la ratifica da parte del Senato; è riuscito nell’intento di rovesciare il regime di Gheddafi lasciando che fossero altri, Francia e Gran Bretagna, a esporsi maggiormente; ha costruito un consenso internazionale ampio, e affatto scontato, sulla questione del nucleare iraniano e sulle sanzioni da adottare nei confronti di Teheran.

Per quanto riguarda la politica interna, Obama ha promosso quella riforma del sistema sanitario sulla quale avevano fallito tanti presidenti democratici, da Truman a Clinton. È riuscito a fermare la crisi economica sul nascere, con un piano di sostegno all’economia che, secondo le stime autorevoli e indipendenti del Congressional Budget Office, ha contribuito alla creazione di circa 3 milioni di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso da un picco del 10% all’attuale 8%, pur in assenza del traino cruciale rappresentato dall’edilizia e senza una crescita dell’occupazione nel settore pubblico.

I risultati, però, rimangono appena sufficienti. La disoccupazione è ancora altissima, soprattutto quella cronica di chi ha perso da tempo il lavoro e non riesce più a ottenerne un altro. Cresciuti a dismisura nell’ultimo trentennio, i livelli di diseguaglianza non sono stati intaccati tra il 2009 e oggi e, anzi, sembrano essere ulteriormente aumentati. La riforma sanitaria è farraginosa, incompleta e sostanzialmente favorevole a quelle compagnie assicurative che hanno grosse responsabilità per l’aumento incontrollato dei costi della sanità negli Usa. I conti pubblici, già danneggiati dall’irresponsabilità fiscale di Bush, sono oggi ancora più disastrati, con un debito che appare quasi fuori controllo.

In politica estera, infine, gli Stati Uniti sembrano più deboli e non più in grado di fronteggiare l’ascesa cinese. Su alcune questioni nodali, in particolare il conflitto arabo-israeliano, gli Usa paiono avere di fatto abdicato al loro ruolo di mediatori e di non avere, oggi, alcuna strategia.

In tempi normali, e con avversari credibili, un presidente come Obama difficilmente sarebbe rieletto. Ma i tempi, probabilmente, non sono normali. Più di tutto, gli avversari – Romney e il partito repubblicano – offrono un’alternativa davvero estrema e poco credibile. Ed è proprio la disarmante pochezza repubblicana la maggiore risorsa di cui Barack Obama sembra disporre oggi.

Il Messaggero, 4 novembre 2012