Mario Del Pero

Super Bowl LXVII

Si svolge stasera la 47a edizione del Super Bowl, la finale del campionato professionistico di football americano. A sfidarsi saranno i Baltimore Ravens e i San Francisco 49ers: la costa dell’Est contro quella dell’Ovest; due stili di gioco diversi; addirittura due fratelli contro, John e Jim Harbaugh, allenatori rispettivamente dei Ravens e dei 49ers.

Ma il Super Bowl è molto, molto di più di un semplice evento sportivo. Dal 1967, anno della sua prima edizione, a oggi si è progressivamente trasformato nella sublimazione di uno sport spettacolo che risponde a logiche commerciali e culturali prima ancora che sportive. È la celebrazione dell’America dei consumi: la rappresentazione, finanche caricaturale, dei suoi tratti e dei suoi eccessi.

Nell’arena scendono gladiatori destinati non di rado a terminare con danni cerebrali permanenti una carriera fatta di scontri violentissimi e traumi conseguenti. Sugli spalti virtuali, tra i 150 e 170 milioni di spettatori getteranno un occhio, talora distratto, a un evento divenuto nel tempo una sorta di festa nazionale. Poco più della metà saranno concentrati sulla dimensione sportiva del Super Bowl. Agli altri del football, dei suoi complessi schemi offensivi e difensivi, interessa poco o nulla. Sono attratti dal rito e dalla sua valenza quasi identitaria per un paese che momenti di raccoglimento nazionale come questo ne offre relativamente pochi. Attendono lo spettacolo dell’intervallo, quando dal palco si esibiscono, strapagate, le star musicali del momento, che negli anni hanno sostituito le marching band universitarie dei primi Super Bowl (quest’anno spetterà a Beyoncé, reduce dalla figuraccia del playback usato all’inaugurazione di Obama; prima di lei vi sono stati i Rolling Stones, Prince, gli U-2, Bruce Springsteen, Paul McCarthy e molti altri). Nel 2012, gli spettatori televisivi dell’esibizione di Madonna a metà partita sono stati addirittura più di quelli che hanno seguito l’incontro.

Soprattutto, gli spettatori del Super Bowl aspettano con curiosità gli spot televisivi, il vero spettacolo nello spettacolo. Spot speciali, creati appositamente per l’occasione e capaci di costare 4 milioni di dollari per trenta secondi di passaggio televisivo. E spot che per alcuni segmenti del pubblico rappresentano la ragione principale per mettersi davanti alla TV. In un’analisi Gallup del 2007, ben il 33% del pubblico del Super Bowl dichiarava di preferire le pubblicità alla partita. Percentuale, questa, che cresceva addirittura al 56% per le donne tra i 18 e i 50 anni.

Il Super Bowl è quindi il picco di un’America che celebra e magnifica l’atto del consumo. La giornata in cui la quantità di cibo divorato è seconda solo al Thanksgiving. L’evento televisivo più seguito in assoluto, capace nel 2010 di battere – in termini di audience – anche l’ultima puntata della leggendaria serie televisiva Mash, che per 28 anni detenne questo record.

Eppure, l’atto conclusivo del campionato di football potrebbe anche simboleggiare un’America destinata gradualmente a scomparire o a ritirarsi entro un recinto più stretto, come accaduto alla boxe, un altro sport nazionale popolarissimo fino a qualche decennio fa. La violenza estrema del football e i danni fisici permanenti che esso causa sono al centro di una accesa controversia pubblica e lo stesso presidente Obama, un grande fan di questo sport, ha ammesso la necessità d’intervenire sulle sue regole per renderlo più accettabile e meno pericoloso. Il numero di praticanti tra i giovani e nelle scuole sta calando vistosamente. La cultura machista e misogina che ha connotato il football per anni è oggi fortemente contestata e i frequenti scandali recenti – nel mondo professionistico e ancor più in quello universitario – ne  hanno fortemente danneggiato l’immagine. Il binomio tra football e consumo – tra violenza e  Cheeseburger supersize – è anch’esso vittima dell’ultima ondata salutista americana. L’America che si mette davanti al televisore stasera è pertanto un’America che vede sé stessa: e che scorgendosi, oggi più che mai, grassa, violenta e ad alto tasso di colesterolo potrebbe decidere sia giunto il momento di cambiare strada.

Il Giornale di Brescia, 3 febbraio 2013