Mario Del Pero

Spionaggio e tentazioni presidenziali

Molti dettagli sono ancora coperti da segreto e tali rimarranno a lungo. L’ultima controversia sull’attività di spionaggio promossa dalle agenzie federali statunitensi – in questo caso la National Security Agency (NSA), responsabile per le comunicazioni e la crittoanalisi – sorprende però fino a un certo punto. Stando alle rivelazioni giornalistiche del “Guardian” e del “Washington Post”, la NSA avrebbe richiesto e ottenuto tabulati delle  telefonate degli utenti dalla compagnia Verizon e, attraverso il programma Prism, avuto accesso ai server di alcuni giganti internet, monitorandone quindi l’attività. In altre parole, milioni di persone, dentro e fuori gli Stati Uniti, sarebbero stati in qualche modo spiati. Nel farlo, l’amministrazione Obama non avrebbe violato la legge, ma solo utilizzato le possibilità offerte dal Patriot Act, la legge approvata dopo l’11 settembre che tra le altre cose amplia i poteri e la discrezionalità del governo statunitense nelle sue attività d’intelligence e di lotta al terrorismo.

Soprattutto durante la campagna elettorale del 2008, Obama aveva promesso di porre un freno a quelli che all’epoca denunciò come gli eccessi e gli abusi di un potere federale che, in nome dell’emergenza sicurezza, si asseriva violasse alcune fondamentali libertà. Una volta alla Casa Bianca, queste promesse, così come quelle di modificare radicalmente pratiche e principi della campagna globale contro il terrorismo, sono state in larga parte disattese. L’amministrazione Obama ha fatto anzi ampio uso delle leggi esistenti, inclusa quella sullo spionaggio risalente alla Prima Guerra Mondiale, per prevenire fughe di notizie, raccogliere informazioni riservate e perseguire chi attenta al segreto di stato.

Come si giustifica questo scarto tra promesse e comportamenti? Come si spiegano i molti elementi di continuità tra il dotto e liberal Obama, professore di diritto costituzionale e quel George Bush che non aveva problemi a estendere prerogative presidenziali ben oltre il dettame della costituzione e delle leggi introdotte negli anni Settanta per prevenire abusi di potere da parte dell’Esecutivo?

Tre risposte possono essere offerte.

La prima si lega al clima politico dell’ultimo decennio e alle posizioni dell’opinione pubblica statunitense. Per una maggioranza della quale la natura non-convenzionale e assoluta della sfida terroristica impone l’adozione di mezzi estremi e, se necessario, la limitazione di alcune libertà individuali. Nel rapporto sempre complesso tra democrazia e sicurezza, si è in altre parole disposti a sacrificare un po’ della prima per ottenere la seconda. George Bush terminò il suo secondo mandato con livelli d’impopolarità senza precedenti; una maggioranza degli americani dava un giudizio assai severo su quasi tutte le sue iniziative politiche. Con un’eccezione, però: la sua campagna globale contro il terrorismo, di cui si giustificavano i metodi e apprezzavano i risultati.

La seconda spiegazione è in qualche modo “istituzionale” e riflette quella che può essere descritta come l’irresistibile tentazione presidenziale di sfruttare precedenti e pratiche consolidate. Perché in fondo i privilegi sono facili da criticare quando si trovano in mano altrui, meno quando sono a propria disposizione.

E questo ci porta al terzo e ultimo elemento: Obama stesso. Che ha sicuramente fatto i suoi calcoli politici, e sa che per un democratico è meglio essere accusato di non avere a cuore le libertà e la tutela della privacy che di essere debole in materia di sicurezza. Ma che è mosso anche da una certa presunzione: dalla convinzione, cioè, che la nobiltà dei fini e la sensibilità di chi ne fa uso autorizzino e legittimino l’adozione di determinati mezzi.

Si tratta di un modo di operare, e di ragionare, che ha molti precedenti nella storia americana. Proprio questa storia ce ne mostra però tutta la pericolosità. Perché si opera sulla base d’impliciti ma evidenti standard duali e tutti politici, in virtù dei quali determinate pratiche sono giustificate o meno a seconda di chi le utilizza. E perché consolida consuetudini e prerogative che alterano gli equilibri tra i diversi poteri e rischiano di legittimare forti abusi, presenti e futuri.

Il Giornale di Brescia, 10 giugno 2013

1 Commento

  1. Giulio

    Il modo di operare della NSA, che è l’agenzia a capo dellla Sigint statunitense e in quanto tale principale referente spionistica di quella che nell’ambiente è nota come anglosfera, è in grado di controllare, gestire e manipolare pressoché la totalità del flusso informativo globale. Fu fondata con un EO segreto di Eisenhower nel 1954; Clinton ne ammise l’esistenza nel corso del suo primo mandato a inizio anni Novanta. Modus operandi e struttura sono descritti, abbastanza bene, da un libro di qualche anno fa di James Bamford. Centri di ascolto della NSA sono incistati anche in Italia, in particolare per il monitoraggio della situazione africana e mediorientale. Né il governo italiano né il COPASIR hanno alcun controllo su di esse.

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