Mario Del Pero

Obama cancella il summit

La decisione non è giunta inattesa. Dopo alcuni giorni di riflessione, Obama ha infine deciso di cancellare il summit bilaterale con Putin previsto in occasione del G-20 che si terrà il 5-6 settembre prossimi a San Pietroburgo. Per la prima volta dalla fine della guerra fredda, un presidente statunitense decide così di annullare un vertice già programmato con la controparte russa. Troppe sono state negli ultimi mesi le tensioni e le incomprensioni tra le due parti. Troppa grande l’umiliazione subita da Obama dopo la decisione di Putin di concedere temporaneo asilo politico a Edward Snowden, la talpa che ha rivelato i segreti dell’attività spionistica della National Security Agency ai danni di cittadini statunitensi.

Quali sono le matrici di questo significativo deterioramento dei rapporti tra Russia e Stati Uniti? Quale il suo possibile impatto sugli assetti internazionali correnti?

È chiaro che si stia assistendo a un parziale riequilibrio dei rapporti di forza tra Russia e Stati Uniti. Rimane una rilevante asimmetria di fondo e gli Usa continuano ad essere assai più influenti e globali nella loro proiezione di potenza. La Russia ha però rialzato la testa, grazie alla ritrovata stabilità politica, alle sue risorse energetiche e ai suoi mezzi militari che, spesso lo si dimentica, in ambito nucleare solo gli Usa possono pareggiare. Pretende, questa Russia, di avere voce in capitolo nella risoluzione di alcune crisi internazionali. Contesta politiche di sicurezza atlantiche che sembrano rispondere ancor oggi a logiche da guerra fredda. Ha relazioni importanti con stati-clienti, come la Siria di Assad, che le permettono di estendere la propria influenza in aree geopoliticamente nodali e alla cui sopravvivenza è inevitabilmente interessata. Ambisce in qualche modo a limitare l’esercizio dell’egemonia da parte degli Stati Uniti, utilizzando queste relazioni e sfruttando i tanti errori compiuti dagli Usa nell’ultimo decennio.

Incidono però anche dinamiche politiche interne a entrambi i paesi. Che molto spiegano, nella fattispecie, della scelta di Obama di cancellare il summit di settembre. Putin ha usato e usa con efficacia la carta di un rinnovato orgoglio patriottico, che l’ostentata contrapposizione con lo storico rivale statunitense concorre ad alimentare e rafforzare. Obama subisce le pressioni di un variegato fronte anti-russo nel quale convergono retaggi di guerra fredda, pressioni dei media liberal e delle influenti lobby per la difesa dei diritti umani e, più in generale, la consapevolezza che utilizzando tradizionali parametri di potenza la Russia rimanga ancor oggi il principale competitore degli Stati Uniti.

Ma è davvero una nuova guerra fredda, quella tra Mosca e Washington? Le lancette della storia stanno precipitosamente tornando al pre-1989? La risposta non può che essere negativa. La Russia non ha i mezzi e le ambizioni, anche ideologiche, globali che erano dell’Unione Sovietica; sta anch’essa dentro i vincoli del reticolo d’interdipendenze economiche e strategiche che connotano le relazioni internazionali oggi; i suoi margini d’azione ne risultano inevitabilmente limitati. Non può, in altre parole, ambire a contestare l’egemonia degli Usa come invece fece a lungo, e credibilmente, dopo il 1945. È, quello sì, potenza regionale importante e soggetto con cui gli Usa sono oggi chiamati a confrontarsi, con atteggiamento di certo diverso rispetto a quello tenuto nell’ultimo ventennio. Perché anche questa crisi mostra come sia giunto, per gli Usa, il momento di accettare la fine dell’artificiale parentesi di dominio unipolare post-guerra fredda. Per quanto superiori in termini di potenza, gli Stati Uniti sono cioè chiamati a modificare le loro modalità d’azione in un sistema internazionale in evoluzione nel quale, piaccia o meno, la Russia è tornata nuovamente a essere attore importante e influente.

Il Messagero, 7 agosto 2013