Mario Del Pero

Il linguaggio del pragmatismo

Delle Nazioni Unite si denuncia spesso, e a ragione, l’obsolescenza della struttura organizzativa, la paralisi dei processi decisionali e la conseguente inefficacia dell’azione. Nel farlo, si enfatizza la frequente irrilevanza di un’istituzione le cui ambizioni di governo mondiale sono di sovente travolte dall’azione unilaterale dei suoi soggetti più importanti, dall’agire di consolidate dinamiche di potenza e dall’operare di antagonismi e competizioni sempre vivi.

Ogni anno, però, l’appuntamento di settembre con l’assemblea generale delle Nazioni Unite rivela come quest’Onu debole, vilipesa e in balia di veti reciproci e regole arcaiche rimanga il principale palco a disposizione dei leader mondiali per parlare all’opinione pubblica mondiale: lo strumento attraverso cui ottenere il consenso indispensabile a garantire la legittimità delle proprie posizioni e proposte. Un palco spesso usato male e a sproposito, come nel caso di Bush nel 2002, quando l’organizzazione fu messa di fronte al fatto compiuto dell’imminente intervento in Iraq; o, e ancor più, come in occasione delle imbarazzanti performance dell’ex presidente iraniano Ahmadinejad, che sceglieva spesso New York per la lanciare le sue provocazioni revisioniste e radicali.

Quest’anno la sessione dell’assemblea generale si è intrecciata con la crisi provocata dalla guerra civile siriana e col tentativo di approvare una risoluzione del consiglio di Sicurezza che permetta di avviare lo smantellamento dell’arsenale di armi chimiche del regime di Assad. Quella siriana è, a tutti gli effetti, una catastrofe umanitaria, come i dati su vittime e profughi rivelano drammaticamente. Che però ha rischiato di costituire anche una catastrofe politica: per le Nazioni Unite, incapaci di svolgere il proprio ruolo e di portare i diversi attori coinvolti al tavolo dei negoziati; e per l’amministrazione Obama, che si è mossa in modo erratico e incoerente, vittima delle divisioni presenti al proprio interno e bloccata da un’opinione pubblica interna risolutamente ostile a qualsiasi uso della forza, anche quello minimo prospettato dal Presidente.

Le traversie, però, si possono talora trasformare in opportunità. Ed è quanto è avvenuto con la crisi siriana. Un improbabile piano presentato dalla Russia ha ridato fiato all’azione diplomatica e posto l’Onu di nuovo al centro della scena. Intrecciandosi con le dinamiche politiche iraniane ha inoltre riportato Teheran entro una dialettica diplomatica nella quale non può non svolgere un ruolo centrale.

Come già in passato, la passerella dell’assemblea dell’Onu è diventata quindi primariamente un momento di confronto tra Iran e Stati Uniti. Diversamente dal passato, però, questo confronto  è stato collaborativo e dialogico e non conflittuale e aspro. Dai linguaggi diversamente ideologici di Bush (che iscrisse a suo tempo l’Iran entro un grande “asse del male”) e Ahmadinejad (che all’assemblea del 2008 preconizzò l’inevitabile “collasso” del “regime sionista” israeliano), si è passati al registro assai pragmatico di Obama e del nuovo presidente Rouhani. È una distensione ancora assai timida, quella tra Stati Uniti e Iran. Ma che potrebbe costituire davvero uno dei più importanti fattori di trasformazione della politica internazionale di questo primo scorcio di secolo. Anche perché, pragmatismo per pragmatismo, interessi plurimi spingono le due parti al dialogo e alla conciliazione: l’utilità di un coinvolgimento dell’Iran nell’azione multilaterale di gestione della crisi siriana; l’importanza, per gli Usa e la comunità internazionale, di evitare un processo di nuclearizzazione dell’Iran che destabilizzerebbe il Medio Oriente e alimenterebbe una nuova proliferazione globale; l’interesse di Teheran a uscire da una condizione di forte isolamento internazionale  e a vedere attenuate quelle sanzioni che hanno concorso a metterne in ginocchio l’economia.

La strada non è semplice. Fazioni di entrambe le parti si stanno già adoperando per far deragliare il processo ancor prima del suo avvio. Rimane nondimeno significativo che sia gli Stati Uniti sia l’Iran abbiano optato per un linguaggio concreto e pragmatico, scegliendo il palco delle Nazioni Unite per comunicarlo non solo alla controparte, ma al mondo intero.

Il Giornale di Brescia, 27 settembre 2013

1 Commento

  1. Mario Serafin

    Mi piace quest’articolo, equilibrato, obiettivo, sull’ultima assemblea generale dell’ONU, organizzazione che vorremmo vitale e meglio rispondente alle finalità per cui le potenze fondatrici, specie gli Stati Uniti, l’hanno concepita. Nell’articolo ho trovato lo stile del prof. Del Pero nel libro “Libertà e impero”, che mi ha aiutato a capire intenti e percorsi degli USA nelle varie fasi della loro storia

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