Mario Del Pero

Un piano che serve a prendere tempo

Accompagnato da un folto team di esperti di armamenti, il segretario di Stato John Kerry è giunto a Ginevra per una tre giorni di negoziati con la sua controparte russa, Sergey Lavrov. Il vertice serve per definire con chiarezza il piano che prevede la cessione da parte del regime di Assad delle armi chimiche di cui dispone e, secondo i più, ha fatto uso. Un piano, quello avanzato da Mosca, che permette di congelare temporaneamente la crisi siriana e bloccare un intervento franco-statunitense fortemente osteggiato dalle opinioni pubbliche dei due paesi. Ma un piano anche assai poco realistico e dalla dubbia praticabilità. Si fatica infatti a credere che Assad possa privarsi, interamente e in tempi brevi, di un arsenale non convenzionale accumulato negli anni e considerato fondamentale per la propria sicurezza e sopravvivenza. Per farlo, il dittatore siriano chiederà precise garanzie e la certezza che la prossima risoluzione del consiglio di Sicurezza dell’Onu non ponga legami stringenti e automatici tra il suo rispetto da parte della Siria e un possibile ricorso alla forza da parte della comunità internazionale. Se così non fosse, calerà il veto russo e la partita sarà chiusa ancor prima d’iniziare. Anche laddove il processo diplomatico si rivelasse meno impervio di quanto appaia oggi e si trovasse una convergenza su un testo condiviso, si porrà l’immenso problema operativo di verificare e smantellare tale arsenale, in un contesto di guerra civile e con molteplici soggetti interessati a far deragliare il processo. Interessi che potrebbero essere dello stesso Assad, il quale chiederà, come è ovvio che sia, precisi incentivi e garanzie per rinunciare a un suo cruciale elemento di superiorità militare.

E allora perché una proposta al meglio poco praticabile e al peggio velleitaria ha raccolto un simile consenso, permettendo di riavviare i negoziati?

È chiaro che tutte le parti in causa hanno tratto dei vantaggi dalla finestra temporale permessa dalla proposta russa. La Russia è tornata a svolgere un ruolo centrale in un negoziato multilaterale che l’aveva vista vieppiù marginalizzata, anche se per farlo ha finito per gettare un’ancora di salvataggio a un Obama in grande difficoltà. Il Presidente statunitense ne esce decisamente male: ondivago nelle dichiarazioni e nelle posizioni, privo di un preciso disegno e in balia di forze, nel paese e nel suo stesso partito, che ha dimostrato una volta ancora di non saper controllare. Grazie all’intervento russo, riesce però a guadagnare tempo, evitando un intervento che appariva ormai fine a se stesso o una sconfitta al Congresso dalle pesantissime implicazioni politiche. Ottiene, infine, spazio e tempo per intensificare un’azione di denuncia morale del regime di Assad che ha avviato con grande efficacia retorica nel discorso al paese di martedì scorso ed è funzionale a costruire quel consenso interno all’azione militare per il momento assente. Come lui, anche Hollande si sottrae a una situazione complessa e politicamente pericolosa, soprattutto dopo la decisione di Obama di far approvare l’intervento al Congresso. Questa pausa nella crisi riporta infine in gioco altri attori, su tutti il Regno Unito e lo stesso Iran, che in queste settimane ha parlato con più voci, lanciando messaggi contraddittori ma rivelando anche un forte interesse ad evitare un’ulteriore escalation del conflitto.

Si discute quindi di una proposta che difficilmente porterà da qualche parte. Una proposta, però, che dà ossigeno ai negoziati, rivela l’avventatezza del comportamento dei governi di Stati Uniti e Francia e rimescola temporaneamente le carte, senza però alterare in modo significativo i termini della crisi: i suoi problemi quasi intrattabili e i suoi complicatissimi dilemmi.

Il Giornale di Brescia, 13 settembre 2013