Mario Del Pero

Un sindaco progressista per una città unica e ingiusta

Come previsto, Bill de Blasio è il nuovo sindaco di New York. L`affluenza alle urne è stata inferiore alle attese, ma la nettissima vittoria (de Blasio ha ottenuto più del 70% dei voti) gli conferisce un mandato forte e ampio.

Nelle ultime settimane l’attenzione dei media si è spesso concentrata sulla biografia e la famiglia di de Blasio. Una “modern family” – meravigliosamente meticcia – nella quale stanno un italo-americano, una moglie afroamericana e omosessuale fino all’incontro con il marito, due figli brillanti e orgogliosamente “afro”, che sembrano anch’essi usciti da un telefilm. Si può ironizzare fin che si vuole su questo mix, strambo e simpatico, che però simboleggia plasticamente un’America cangiante e in movimento:  una società capace di farsi sempre più plurale, diversa e inclusiva.

Ma è il dato politico dell’elezione di de Blasio quello su cui è indispensabile interrogarsi. Perché New York ha scelto il candidato più radicale (noi diremmo “di sinistra”) del lotto? Per qual motivo ha deciso di eleggere sindaco un uomo che ha impostato la sua campagna elettorale sul tema delle “due New York”, quella opulenta e luccicante di gran parte di Manhattan e quella in sofferenza e difficoltà di molte aree della metropoli? Perché ha scelto a maggioranza larghissima (e politicamente e socialmente trasversale) un programma estremamente progressista, nel quale si propone un ampio piano di edilizia popolare, imposte straordinarie sui redditi più alti per finanziare l’istruzione pubblica e un controllo più severo di un apparato di polizia fattosi negli anni sempre più invasivo e indipendente?

La risposta a queste domande la si trova nei cambiamenti dell’America, e di New York, durante quest`ultimo decennio. Perché le richieste dell’elettorato della Grande Mela sono oggi diverse rispetto a vent’anni fa, anche in conseguenza delle politiche e, in parte, dei successi dei due predecessori di de Blasio: Rudy Giuliani (sindaco dal 1994 al 2001) e Michael Bloomberg, in carica fino a oggi. Lo sceriffo Giuliani ereditò una città devastata da un ventennio di crisi urbana, dall’epidemia di crack e da una microcriminalità che appariva endemica e inestirpabile. Con metodi spicci e discutibili riuscì a rivoltare come un calzino New York, o quantomeno le sue parti più vissute e note. Beneficiò, sì, di tendenze più generali e di un revival urbano che coinvolse gran parte del paese; ma alcuni suoi successi furono indiscutibili e a lungo apprezzati dall’elettorato.

Il magnate dei media Michael Bloomberg ha rappresentato l’incarnazione estrema del sindaco tecnocrate divenuto negli anni monarca tanto illuminato quanto indiscusso. L’ultimo decennio è stato quindi caratterizzato da politiche pubbliche calate dall’alto, con piglio, stile manageriale e, va detto, spesso con successo e grande efficacia. New York è stata ancora una volta trasformata, attraverso il recupero di aree dismesse e date per perse, la creazione di nuovi spazi pubblici e di centinaia di chilometri di piste ciclabili, mentre quantità crescenti di capitali privati venivano attratti verso la città, non di rado attraverso ambiziose joint ventures con la municipalità stessa.

È una New York per molti aspetti splendida e più vivibile quella che hanno lasciato Giuliani e Bloomberg. Ma lo è soprattutto per i turisti o per gli abitanti dei suoi tanti quartieri opulenti; per quelli che hanno pochi motivi per lasciare il cuore di Manhattan e al massimo si spingono verso i nuovi quartieri ricchi di Brooklyn. Un pezzo rilevante e crescente di città, e di chi la vive, è rimasto escluso da questi miglioramenti o ne è stato in qualche modo vittima. I dati sono macroscopici e inequivoci, tanto che nessuna area metropolitana degli Usa presenta livelli di sperequazione sociale pari a quelli di New York. Se Manhattan fosse uno stato, il tasso di diseguaglianza misurato in termini di reddito sarebbe comparabile a quello della Sierra Leone o del Lesotho; circa un quinto della popolazione di New York sta sotto la soglia della povertà; in alcune zone della città il reddito del 20% più ricco è di quasi quaranta volte superiore a quello del 20% più povero. Mille altri dati possono essere aggiunti. A evidenziare, appunto, livelli intollerabili di diseguaglianza. E ad aiutarci a capire perché de Blasio, candidato sconosciuto e improbabile solo fino a pochi mesi fa, sia oggi il sindaco della città più bella e importante del mondo.

Il Giornale di Brescia, 7 novembre 2013