Mario Del Pero

L’Ucraina e la sfida dell’impotenza

La crisi apertasi in Ucraina in seguito alla decisione del presidente Yanukovich di bloccare la ratifica dell’accordo di associazione con l’Unione Europea è indicativa di molte contraddizioni dell’attuale contesto internazionale, carica di significati simbolici e impossibile da leggersi isolandola dal più ampio contesto internazionale. Tre soggetti esterni – la Russia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea – ne sono in qualche modo coinvolti, anche se sono (e saranno) poi le dinamiche e i rapporti di forza interni alla stessa Ucraina a rappresentare la variabile dirimente.

Nella vicenda ucraina, però, ognuno di questi tre soggetti sembra rivelare più debolezze che forze. Nel caso dell’Europa, la crisi ha mostrato una volta di piú tutta l’impotenza politica dell’Unione Europea. Che al di là delle dichiarazioni di circostanza e della ostentata indignazione poco ha potuto rispetto alla decisione del governo di Kiev e al pugno di ferro utilizzato per reprimere le proteste di piazza del fronte europeista. Vi è un che di paradossale nello scarto tra questa strutturale fragilità e il persistente, e finanche sorprendente, magnetismo che l’UE è ancora in grado di proiettare, in particolare nel mondo post-sovietico. La vicenda ucraina mostra la straordinaria attrattività del modello di modernità e, anche, di democrazia dell’Unione Europea, soprattutto presso le elite economiche e intellettuali e i giovani di paesi, come appunto l’Ucraina, che ambiscono a entrare entro questo spazio europeo.

La Russia viene spesso presentata come la vera vincitrice di questa crisi. Il suo atteggiamento neo-imperiale e la sua capacità d’imporre la propria linea all’Ucraina sono letti come dimostrazioni della rinnovata potenza russa, che flette i muscoli – dai giochi olimpici di Sochi all’attivismo diplomatico in Medio Oriente – mostrando una capacità di condizionare le dinamiche internazionali come non avveniva dai tempi della Guerra Fredda. Eppure, a uno sguardo più attento proprio il caso ucraino sembra indicativo delle debolezze e dei problemi della Russia di oggi. Che si trova la Nato alle proprie porte; che deve fare i conti, nei paesi limitrofi, con opinioni pubbliche ed elite spesso ostili o comunque assai più attratte dal modello europeo e transatlantico; il cui peso internazionale è in parte condizionato da dinamiche, a partire dai prezzi delle risorse energetiche, che eludono il suo controllo. Che un paese come l’Ucraina possa credibilmente sfilarsi dalla sfera d’influenza russa, e che Mosca debba utilizzare pressioni estreme per evitarlo, testimoniano, appunto, di questa debolezza della Russia putiniana.

Alla quale fa peraltro da controcanto quella, evidente, degli Stati Uniti. L’amministrazione Obama assiste da lontano e in modo distaccato a quanto sta avvenendo in Ucraina. Gli Usa sono rimasti scottati dalla “rivoluzione arancione” del 2004 così come da altre transizioni democratiche, fallite o incompiute, degli ultimi anni. Sono consapevoli che l’allargamento dello spazio di sicurezza atlantico si è spinto oltre i limiti dell’accettabile per Mosca e ritengono, al di là delle parole di circostanza, che quella ucraina sia questione di cui deve occuparsi primariamente l’Europa. Soprattutto, hanno bisogno della collaborazione russa in altri teatri di crisi, a partire ovviamente da quello mediorientale.

Tre impotenze si fronteggiano dunque nel teatro ucraino. Facendo venir meno quella disciplina esterna che a volte serve per gestire e pilotare crisi di questo tipo. E lasciando le due parti – il fronte filo-russo e quello filo-europeo – a fronteggiarsi in un confronto sull’Europa e per l’Europa, ma nel quale l’Europa politica poco, davvero poco, sembra poter fare.

Il Messaggero, 24 gennaio 2014