Mario Del Pero

Cuba, gli Stati Uniti e i cimeli della storia

L’embargo statunitense e l’assenza di rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Cuba rappresentavano ormai dei cimeli della guerra fredda quanto e più dell’appassito look rivoluzionario di Fidel Castro o della bolsa retorica anti-comunista degli esuli cubani in Florida. Era inevitabile ci si mettesse prima o poi una pietra sopra, una volta terminata la guerra fredda, riposto l’internazionalismo rivoluzionario castrista e giunti sull’isola capitali e turisti di gran parte del mondo, con l’eccezione, appunto, di quegli americani.

Eppure non ci si riusciva. La guerra fredda cubano-statunitense sopravviveva alla sua obsolescenza e inutilità. Offriva a Fidel e al suo regime un nemico assoluto spesso funzionale a nutrirne l’orgogliosa retorica patriottica, socialista e rivoluzionaria. Dava alla destra statunitense un avversario noto e facilmente caratterizzabile, prima che il radicalismo islamico soppiantasse definitivamente i resti della minaccia comunista che fu. Soprattutto, un qualsiasi superamento di questo lascito della guerra fredda rimaneva ostaggio di dinamiche politiche interne statunitensi e del peso spropositato che la piccola lobby cubana anti-castrista esercitava in uno stato, la Florida, spesso determinante nelle contese presidenziali.

Sin dalla sua elezione, Obama aveva espresso l’intenzione di superare questo stallo e ripristinare i rapporti diplomatici interrotti nel 1961. Una politica estera non particolarmente attenta alle relazioni inter-americane, il precoce indebolimento politico del Presidente e l’apparente nuovo irrigidimento del regime cubano avevano posto ulteriori ostacoli sulla strada di una riconciliazione tanto inevitabile quanto tormentata.

Quanto avvenuto ieri giunge pertanto un po’ a sorpresa. Obama e Raul Castro hanno annunciato la riapertura delle rispettive ambasciate a L’Avana e a Washington e la ripresa delle relazioni diplomatiche. Varie iniziative accompagneranno e, nelle intenzioni, faciliteranno questo processo, dalla rimozione di molti ostacoli alle transizioni finanziarie all’aumento della quota di rimesse concesse a favore di cittadini cubani. Sarà rivisto, e rapidamente tolto, l’inserimento di Cuba nella lista degli stati che sponsorizzano il terrorismo, nella quale si trova dal 1982. Vi saranno varie facilitazioni agli investimenti statunitensi sull’isola. Soprattutto inizierà il processo, in sé più complesso, dell’eliminazione completa dell’embargo, per la quale è necessario il pieno coinvolgimento del Congresso.

Perché Obama ha agito ora e quali sono le possibili implicazioni e conseguenze? I tempi, come si è detto, erano maturi. La questione non è più centrale nel dibattito politico e pubblico degli Stati Uniti. La comunità cubano-statunitense è divenuta meno dogmatica e, anche, influente. La Florida, per quanto importante, ha perso una parte della rilevanza avuta ancora negli anni Novanta. La retorica anti-americana a Cuba si è in parte attenuata e in Raul Castro il presidente americano sembra avere trovato un interlocutore più realista di Fidel e meno legato a un’immagine negativa che ancor oggi pesa negli Usa. È probabile che, nel caso di Obama, abbiano agito anche precise considerazioni politiche: il convincimento, appunto, che per una maggioranza dell’opinione pubblica questa sia ormai una questione secondaria e da risolvere; il desiderio di sfruttare la libertà di quest’ultimo biennio per promuovere quell’azione incisiva e risoluta spesso assente nei precedenti sei anni; l’auspicio che questa prova di coraggio e flessibilità sia recepita da altri interlocutori, a partire ovviamente dall’Iran.

Il fronte repubblicano ora tuona contro il tradimento di Obama. Accusa il presidente di debolezza e finanche di “appeasement”. Promette di dare battaglia al Congresso. Sono denunce che appaiono però fuori tempo; che parlano un linguaggio vecchio e stantio come quello della piccola guerra fredda cubano-statunitense, di cui i due ultimi grandi protagonisti, usciti in fondo di scena solo pochi anni fa – Fidel Castro e George W. Bush – sembrano essi stessi appartenere a un’altra epoca e a un altro mondo.