Mario Del Pero

New York, violenza e questione razziale

Due poliziotti uccisi a sangue freddo, forse come rappresaglia per i fatti di Ferguson e, più in generale, per l’eccessivo uso della forza da parte della polizia contro gli afro-americani. Un sindaco di New York simpatetico verso le lamentele della comunità nera che si ritrova i poliziotti girati di schiena mentre si reca all’obitorio per onorare le vittime e viene accusato da uno dei sindacati di polizia di avere “il sangue delle due vittime sulle mani”. Nel mezzo il riemergere di quel connubio tra questione razziale e violenza urbana che, se non risolta, era parsa quantomeno essere stata sedata e silenziata negli ultimi vent’anni.

Cosa ci dicono queste vicende e in che modo le tensioni degli ultimi mesi riproducono linee di frattura antiche e mai davvero ricomposte?

In primo luogo evidenziano il persistere di un problema nero che le tante conquiste dagli anni Cinquanta a oggi, e infine la stessa storica elezione di un Presidente di colore, non sono riuscite a risolvere. Molteplici sono gli indicatori di questa persistenza, dal reddito pro-capite alla scolarizzazione a quello, drammatico e spesso citato, della popolazione carceraria (in rapporto alla popolazione, il tasso d’incarcerazione dei neri è di sei volte superiore a quello dei bianchi). Ed è una situazione alla quale nel tempo sembra avere concorso anche un deficit di leadership e la mancata transizione – come punto di riferimento della comunità afro-americana – dalle figure politiche emerse e legittimatesi nella lotta per i diritti civili a una generazione di leader neri più giovani, dai diversi processi di formazione e, appunto, legittimazione. Politici dai curricula più ortodossi (su tutti un’istruzione universitaria d’élite) e spesso dalle riconosciute competenze. Incapaci, però, di rappresentare le tante anime della comunità nera, integrandone e moderandone le voci più rabbiose e radicali. Uomini come l’ex sindaco di Washington Adrian Fenty, il senatore del New Jersey Cory Booker o l’ex governatore del Massachusetts Deval Patrick, in grado talora di sconfiggere i vecchi (e spesso corrotti) apparati politici neri, senza però riuscire ad offrire ai diversi segmenti dell’elettorato afro-americano un’analoga capacità di mediazione e di rappresentanza.

In secondo luogo, rimane – drammatica – la questione della sicurezza, in particolare in quelle aree urbane ove è maggiormente concentrata la popolazione di colore. La grande crisi urbana degli anni Settanta e Ottanta è stata superata anche attraverso draconiane politiche di “tolleranza zero”, nelle quali si distinse la New York dell’allora sindaco Rudi Giuliani. Politiche che hanno concorso all’aumento esponenziale della popolazione carceraria (passata in trent’anni da 500mila a 2milioni e 300 mila persone), acuendo quindi uno degli indicatori fondamentali della questione razziale (circa 1milione di questi carcerati sono neri). E politiche che hanno conferito alle forze di polizie autonomia e ampi poteri, tanto che in molte città, il capo della polizia – il police commissioner – è figura importante quanto e più dello stesso sindaco. Pochi lavori sono più difficili e pericolosi di quello del poliziotto in una grande città statunitense. Questa riconosciuta consapevolezza, i meriti attribuiti alle politiche di “tolleranza zero” e, dopo l’11 settembre, l’effetto dell’emergenza terrorismo hanno non di rado trasformato le forze di polizia in istituzioni inattaccabili, legittimate ad agire con discrezionalità e – come è accaduto in questi giorni a New York – addirittura a sfidare quelle istituzioni da cui dipendono e a cui dovrebbero rispondere.

Istituzioni deboli, però, perché a essere debole e delegittimata è la stessa politica. È questo il terzo e ultimo fattore da considerare.  Gli attacchi – in sé molto gravi – a de Blasio, le immagini dei poliziotti che con gesto di sfregio si girano al suo passaggio mostrano una politica fragile, di fronte ai fatti di Ferguson come alla reazione di una polizia che certi gesti non deve poterseli permettere, neanche in un momento di rabbia e lutto come questo.  Ed è da lì, che si deve ripartire: in un’opera di azione quotidiana che riconosca come di fronte a problemi così complessi non esistano soluzioni definitive, siano esse la “tolleranza zero” o l’elezione di un presidente nero.

Il Messaggero, 22 dicembre 2014