Mario Del Pero

Verso le primarie

La corsa per le primarie alle presidenziali statunitensi sta davvero entrando nel vivo. Il 1 febbraio si voterà in Iowa, nei cosiddetti caucus, riunioni di militanti chiuse il cui esito è estremamente difficile da prevedere nei sondaggi. Pochi giorni più tardi sarà il turno delle primarie semi—aperte del New Hampshire, dove potranno votare anche gli elettori non registrati. Da lì ci si sposterà a sud e sud-ovest, con il voto in South Carolina e in Nevada fino al “supermartedì” del 1 marzo, quando si esprimeranno gli elettori di ben 14 stati, tra i quali il Texas, il Massachusetts e la Georgia.
Nel fronte repubblicano la corsa sembra ormai restringersi a tre persone: l’eccentrico miliardario Donald Trump, il senatore ultraconservatore del Texas Ted Cruz e una terza figura, a oggi ancora un anonimo “Mr. X”, che potrebbe emergere nel gruppo di candidati (Marco Rubio, Jeb Bush, Chris Christie, John Kasich) meno radicali e di certo più presentabili in prospettiva presidenziale. Tra i democratici sembra essere una corsa a due, con la grande favorita, Hillary Clinton, improvvisamente in difficoltà nei sondaggi di fronte a un avversario forse sottovalutato, il senatore del Vermont, Bernie Sanders, che è invece riuscito a generare grande entusiasmo, soprattutto tra gli elettori più giovani, e a raccogliere una montagna di finanziamenti, messi al servizio di una campagna fattasi vieppiù efficace e incisiva.
Tre sono le indicazioni sino ad ora più rilevanti di questa campagna elettorale. La prima è l’evidente radicalizzazione che, in modi assai più diversi, sembra contraddistinguere entrambi gli elettorati. Nel fronte repubblicano predominano parole d’ordine estreme sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, che soprattutto con Trump scivolano facilmente verso una xenofobia e un razzismo dei quali sono vittime in primo luogo mussulmani e immigrati messicani. Questo si accompagna a posizioni parimenti estreme nei confronti del governo federale: di un pubblico a cui, asserisce soprattutto Cruz, vanno tolte risorse (con ulteriori tagli alle tasse) e competenze. È invece a questo pubblico che propone di affidarsi Sanders, con un programma singolare che s’ispira al modello socialdemocratico scandinavo, proponendo una nuova riforma sanitaria in stile europeo e violando un taboo elettorale storico laddove enfatizza la necessità di accettare un significativo e progressivo aumento dell’imposizione fiscale su quasi tutte le fasce di reddito oltre che sui profitti da capitale.
La seconda indicazione è che l’evidente successo di questa radicalizzazione risponde agli umori delle due opinioni pubbliche e dei due elettorati, democratici e repubblicani. Opinioni pubbliche, queste, spaventate e incattivite da una ripresa economica che, per quanto in atto, stenta a fare sentire i suoi effetti e da una insicurezza diffusa a cui contribuisce anche la rinnovata paura del terrorismo. A destra ci si affida a demagoghi che fanno largo uso di una retorica violenta e rozza. A sinistra si sognano svolte socialiste assai poco realistiche, stante le condizioni economiche e politiche (il prossimo Congresso sarà quasi certamente ancora in mano repubblicana).
Il terzo elemento è quello generazionale. In termini di contenuti della proposta politica e civiltà del confronto vi è uno scarto macroscopico tra la campagna dei democratici e quella dei repubblicani. Ma per i primi la scelta sarà tra la 69enne Clinton e il 74enne Sanders, laddove il partito repubblicano – estremo, radicale, finanche caricaturale – ha dimostrato una capacità di rinnovamento (e di ringiovanimento) che potrebbe giovargli nel voto di novembre.

Il Giornale di Brescia, 25 gennaio 2016