Mario Del Pero

L’NSA e Berlusconi

Che cosa ci dicono queste nuove rivelazioni sull’azione di spionaggio promossa dalla National Security Agency statunitense ai danni di Silvio Berlusconi e del suo entourage? Sono così sorprendenti e legittimano le voci di denuncia che si levano oggi in Italia? Stanno davvero a indicare una forma forte d’ingerenza americana nella vita politica italiana o addirittura un complotto ai danni dell’ex Primo Ministro? La scivolosità della materia e l’incompletezza delle informazioni devono indurre alla cautela. Ma alcune considerazioni sono possibili, sia sulla posizione dell’Italia sia su pratiche di raccolta d’intelligence che appaiono tanto invasive quanto poco regolamentate e controllabili.
La prima riflessione riguarda la situazione dell’Italia nel 2010-11 e la sua condizione, negli Usa e non solo, di osservato speciale. Gli Stati Uniti erano all’epoca assai critici nei confronti delle scelte compiute dall’Europa, temevano che la linea dell’austerity danneggiasse la ripresa globale e che un indebolimento dell’euro potesse avere effetti destabilizzanti. L’Italia appariva vulnerabile e priva sostanzialmente di timone; ovvero costituiva per molti europei, a partire da Nicolas Sarkozy, un comodo capro espiatorio su cui scaricare le colpe di problemi la cui responsabilità era assai più ampia e diffusa. È quindi perfettamente normale che questa Italia, e il suo governo, fossero oggetto di un surplus d’attenzioni da parte delle strutture d’intelligence statunitensi. E che le informazioni fossero cercate e raccolte anche attraverso canali non ortodossi. Il problema sono però i metodi e le modalità con cui Washington ha condotto negli ultimi 10-15 anni questa raccolta d’informazioni. Metodi e modalità nel quale convergono, in una miscela alquanto pericolosa, la mano libera data agli apparati di sicurezza nel post-11 settembre, la possibilità di usare nuovi strumenti nell’intercettare e archiviare forme di comunicazione elettronica e telefonica oggi assai penetrabili, e la parziale privatizzazione di molte delle fasi di questa attività. La campagna globale contro il terrorismo ha giustificato un’azione molto più aggressiva a tutti i livelli, incluso quello dello spionaggio. La possibilità d’intercettare e stivare quantità illimitate di dati e metadati ha probabilmente reso meno selettiva e mirata la raccolta d’informazioni. La crescita elefantiaca dello stato di sicurezza nazionale statunitense è avvenuta incorporando al suo interno strutture private, cui si subappaltano svariate funzioni sia per risparmiare sia perché meno soggette ai vincoli e alle regole cui devono sottostare invece le diverse agenzie federali. La conseguenza è quella che Wikileaks ed Edward Snowden hanno in più occasioni disvelato. Da un lato si catturano e archiviano milioni di comunicazioni, creando un sistema di sorveglianza permanente e totale le cui implicazioni, sulla nostra vita e le nostre democrazie, non possono essere sottostimate. Dall’altro, il numero crescente di persone coinvolte in quest’opera, il ruolo di privati e l’assenza di regolamentazione e disciplina rendono pressoché impossibile controllare questo processo, evitare che sfugga di mano o, banalmente, che diventi di dominio pubblico. Le conseguenze politiche sono inevitabilmente pesanti per gli Usa, perché i leader di paesi coinvolti – Angela Merkel o il presidente brasiliano Dilma Rousseff in passato, Matteo Renzi oggi – debbono ovviamente dare risposta a opinioni pubbliche irritate e sconcertate dal comportamento del loro principale alleato. Ed è questo il paradosso, più preoccupante e pericoloso, che questa vicenda ancora una volta rivela. Non tanto che gli alleati si spiino e lo facciano con grande spregiudicatezza; quello, a dispetto della retorica sul rispetto e sulla correttezza dei rapporti tra paesi amici, è in fondo sempre avvenuto. Quanto che ciò avvenga oggi in forme così estese e incontrollate, senza disciplina e regole. In una sorta di spirale viziosa, la raccolta indiscriminata d’informazioni e l’impossibilità ultima di controllarne la gestione e l’utilizzo, evitando che essa diventi di dominio pubblico, sono due facce di una stessa medaglia, in un quadro che simultaneamente non tutela basilari diritti e non produce intelligence buona e inevitabilmente selettiva.

Il Mattino, 24 Febbraio 2016