Mario Del Pero

Una vittoria, una sconfitta e molte incertezze

Vi è un vincitore pieno, in questi caucus dell’Iowa, ed è il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio. Vi sono tre vincitori a metà: Hillary Clinton e Bernie Sanders, tra i democratici, e Ted Cruz tra i repubblicani. E vi è infine uno sconfitto, Donald Trump.
Rubio ottiene un risultato di dieci punti percentuali superiore a quello previsto dai sondaggi. Conquista lo stesso numero di delegati di Trump (sette) e appena uno meno di Cruz. Ha il doppio dei voti di Cruz tra gli elettori per i quali l’“eleggibilità” costituisce il criterio fondamentale di scelta. Emerge, infine, nel gruppo di candidati più moderati e credibili in prospettiva presidenziale, tra i quali sembra affondare Jeb Bush che si ferma sotto il 3%. Laddove Rubio confermasse questo risultato alle primarie di martedì prossimo in New Hampshire sarà su di lui che convergeranno gli appoggi, e soprattutto le ricche donazioni, di quell’establishment repubblicano che guarda con orrore alla possibilità di essere rappresentato in novembre da Trump o Cruz. Per quest’ultimo quello di ieri è un indubbio successo. Un risultato inimmaginabile un anno fa, quando il neo senatore del Texas era divenuto una sorta di paria dentro il campo repubblicano, dopo averne alienato la leadership con il suo anarchico narcisismo e la sua smania di protagonismo. Sconfiggere Trump, che aveva sempre guidato nei sondaggi, lo rafforza come rappresentante di una destra nazionalista, arrabbiata e spaventata che continuerà ad avere un peso rilevante in un ciclo elettorale destinato a essere lungo e incerto. Deve però fare i conti, Cruz, con l’ascesa di Rubio e col fatto che il voto combinato suo e di Trump sia inferiore a quello previsto in molti sondaggi: il bacino elettorale della destra più radicale, in altre parole, potrebbe essere meno ampio ed espandibile di quanto non s’immaginasse.
Per la Clinton era fondamentale non perdere. Una sconfitta, combinata a quella quasi certa in New Hampshire, avrebbe rischiato di alterare drasticamente la dinamica elettorale a vantaggio di Bernie Sanders. E però quella dell’ex Segretario di Stato è al meglio una mezza vittoria: per le sue proporzioni estremamente risicate; per il grande risultato di Sanders; soprattutto, per la strutturale incapacità della Clinton di vincere la diffidenza e in taluni casi l’aperta ostilità di pezzi importanti della base democratica. Un dato, su tutti, deve fare riflettere, ed è quello degli elettori sotto i trent’anni d’età. Si tratta di una componente che fu importante nella grande coalizione obamiana del 2008 e del 2012 e che i democratici dovranno mobilitare appieno in novembre per mantenere il controllo della Casa Bianca. Ebbene, in Iowa quel voto è andato per l’84% a Sanders e appena per il 14% alla Clinton. Si tratta di uno scarto, macroscopico, di settanta punti. In una competizione ipotetica tra la Clinton e Rubio, di 24 anni più giovane, il fattore anagrafico – e la possibilità per i repubblicani di presentarsi come più ricettivi al rinnovamento – potrebbe giocare un ruolo.
Più di tutto, però, lo giocherà la capacità d’intercettare quella pulsione anti-politica che sembra essere oggi il fattore centrale nel catalizzare la passione e orientare le scelte di voto. Bernie Sanders è riuscito a farlo in modo per certi aspetti straordinario. Solo pochi mesi fa i sondaggi lo indicavano 30/40 punti percentuali dietro alla Clinton in Iowa. Ha ottenuto di fatto gli stessi voti. E quasi certamente otterrà una netta vittoria in New Hampshire. Simbolicamente, però, vincere era cruciale e questo risultato il senatore del Vermont non è riuscito a raggiungerlo.
Trump, infine. A dispetto delle boutade, della sostanziale assenza di proposta politica, di una violenza verbale che pareva non avere limiti, la popolarità di Trump non sembrava scemare. Il suo successo si nutriva in altre parole di un’aura di quasi inevitabilità: come se nulla e nessuno lo potessero fermare. Il voto di ieri potrebbe spezzare questa bizzarra dinamica, risvegliando almeno un pezzo dell’elettorato repubblicano da un sonno della ragione che sembra essere durato fin troppo a lungo.

Il Mattino, 3 febbraio 2015