Mario Del Pero

La corsa affannata di Renzi

Questo nuovo viaggio americano di Matteo Renzi sembra seguire un canovaccio ormai consolidato. Vi è in primo luogo l’incontro con una qualche eccellenza italiana nel mondo, in questo caso il futuristico impianto ibrido di fonti rinnovabili costruito da Enel Green Power in Nevada. Vi sono le occasioni pubbliche in centri di ricerca e università (nel suo personalissimo inglese, migliorato ma ancora molto maccheronico, Renzi ha parlato nell’occasione a Harvard). Vi sono i momenti spettacolo: il jogging sul lungolago di Chicago assieme al sindaco della città, Rahm Emanuel; l’incontro alla scuola italiana; la serata chiusa a cantare “sweet home Chicago”; l’immancabile foto con Obama. E vi è, infine, il summit internazionale: quello sul nucleare di Washington dove, Renzi fa però capire, si affronteranno informalmente anche dossier importanti per l’Italia, a partire ovviamente da quello libico.
La strategia politica e comunicativa è abbastanza chiara. L’America rappresenta lo specchio nel quale la nuova Italia, e il suo dinamico leader, s’intendono riflettere, per mostrare all’opinione pubblica, italiana ma anche internazionale, i risultati raggiunti e le potenzialità accese. In questa narrazione – in questo storytelling direbbe Renzi – l’Italia renziana combina diversi elementi che il viaggio americano illustra e magnifica. È l’Italia che scommette sul suo genio e sulla sua intraprendenza per affermarsi nel mondo, anche nei settori a più alto contenuto tecnologico come l’appalto vinto da Enel in Nevada rivela. È l’Italia che a questo mondo può dare del tu: perché lo conosce, ne è parte e può addirittura ambire a guidarlo. È l’Italia che finalmente attrae interesse, intelligenze e investimenti, tanto che un accordo è stato siglato con il Watson Center della IBM che creerà un proprio centro europeo nel tecnopolo dell’area ex Expo a Milano. Ed è, infine, l’Italia capace di sedersi al tavolo dei grandi e avere voce in capitolo su problemi nodali, siano essi la questione libica, la non proliferazione nucleare o la crisi siriana.
“Per la mia squadra è venuto il momento di correre” perché questa “è la soluzione in un mondo globalizzato” ha affermato Renzi in margine all’incontro con l’amministratore delegato dell’IBM Genny Rometti. Ma quanto e come corre davvero questa Italia renziana? Quanto è credibile nel suo ruolo di statista e d’innovatore cosmopolita il nostro Presidente del Consiglio?
Simbologia per simbologia, l’affannata e incerta corsa mattutina a Chicago è lì a indicarci tutte le potenziali contraddizioni di questa narrazione. Il passo pesante e sbilenco e l’improbabile postura podistica del Presidente del Consiglio sembrano dirci che lo scarto tra rappresentazione e realtà rischia di essere ancora molto ampio: che l’Italia americana di Renzi sia oggi al meglio un’aspirazione e al peggio una proiezione più che una distinta possibilità e tanto meno la realtà. Che a rappresentarla e promuoverla sia un uomo di suo assai poco internazionalizzato e “globale” come Renzi – formatosi e cresciuto dentro gli spazi angusti, protettivi e autoreferenziali della provincia italiana – appare in sé indicativo. Questo scarto tra desideri e possibilità ci viene in fondo crudamente ricordato dall’ennesimo episodio di malgoverno italiano, quello che ha coinvolto la ministra Guidi. In un mondo globalizzato si deve effettivamente provare correre, su questo Renzi ha ragione. Ma per il momento la corsa appare spesso ancora molto goffa e ansimante.

Il Giornale di Brescia, 3 aprile 2016