Mario Del Pero

Purezza democratica

Un tempo le convention erano momenti dirimenti, dove nel fumo a mezz’aria e in un caldo spesso irrespirabile– con compromessi e scontri, urla e sotterfugi, errori e furberie – i delegati sceglievano il candidato, invariabilmente maschile, alla Presidenza. Col tempo, e soprattutto a partire dagli anni Settanta, sono diventate altro: momenti asettici, controllati e altamente televisivi d’incoronamento dei prescelti e, oggi, finalmente anche delle prescelte. Questo lungo anno elettorale non manca però di sorprendere. E nel 2016 le convention democratiche e repubblicane, pur continuando a fungere da momento incoronatore, sono tornate a essere quel che storicamente furono: arene di scontro e contestazione, di passione e di tensione. Politica, insomma. All’atmosfera circense che ha caratterizzato la nomination di Donald Trump a Cleveland la settimana scorsa fanno da contraltare le polemiche feroci e divisive che hanno marcato il primo giorno della convention democratica iniziata ieri a Philadelphia. Agisce l’onda lunga dell’aspra contesa delle primarie che ha contrapposto Hillary Clinton e Bernie Sanders, l’establishment e l’insorgenza, i giovani (per Sanders) e gli over-30 (per Clinton). Trova sfogo l’insoddisfazione di un pezzo non marginale della sinistra democratica verso una scelta, quella di Hillary Clinton, che non piace e finanche irrita: una figura dell’establishment quando l’establishment appare logoro e discreditato; una scelta calata dall’alto quando la mobilitazione vera si attiva sempre più dal basso; una proposta centrista e moderata laddove polarizzazione e radicalizzazione spingono per una più netta contrapposizione tra destra e sinistra, repubblicani e democratici. Ma è anche la conseguenza, dell’ultimo, ennesimo scandalo che colpisce i democratici. Sono delle email, una volta ancora, a costituire l’oggetto dello scalpore e della protesta. Le email del comitato nazionale democratico che rivelano come esso – e la sua presidente, la deputata della Florida Deborah Wasserman Schultz – tutto sono stati fuorché neutrali durante le primarie. Venendo meno al proprio ruolo e al proprio statuto, il comitato avrebbe in più occasioni agito per danneggiare Sanders, mostrano messaggi riservati, violati e resi pubblici da hackers che – scandalo nello scandalo, assurdo nell’assurdo – avrebbero agito per conto dei servizi di Putin, interessati a favorire Trump e i repubblicani.
Poco di cui scandalizzarsi, in fondo. L’establishment è l’establishment e Sanders – che nel partito democratico è entrato solo per partecipare alle primarie – non poteva pensare di correre contro di esso senza pagare dazio alcuno. A sufficienza, però, per alienare ancor di più l’elettorato giovane e di sinistra che ha votato massicciamente contro la Clinton, che ha trovato in un 74enne socialista del Vermont il proprio improbabile profeta e che oggi quel socialista lo rinnega nel momento in cui egli chiede, come ha fatto Sanders, di votare la Clinton pur di fermare la mostruosità di una presidenza Trump. Vi è al contempo del nuovo e del vecchio in tutto ciò. Il vecchio è rappresentato da una sinistra che, nel rincorrere una purezza mai pura abbastanza, rischia di far vincere la destra, anche quella più retriva e bigotta, come nel caso di Trump. Sanders ha in fondo ottenuto molto di più di quanto non immaginasse, a partire dal programma che uscirà dalla convention in cui sono recepite diverse sue proposte e richieste, dal salario minimo ad un’ulteriore riforma di Wall Street fino alla legalizzazione dell’uso della marijuana. Il nuovo, invece, deriva dal fatto che questa politica fluida, partecipata e volatile sembra ormai sfuggire a qualsiasi controllo: anche a quello delle élite più abili e spregiudicate. Sfugge, oggi, addirittura ai Clinton e ai clintonistas. E apre scenari semplicemente inimmaginabili fino a non molto tempo fa.

Il Mattino, 26 luglio 2016