Mario Del Pero

Trump e il Russiagate

È una partita per il momento tutta interna al partito repubblicano quella del Russiagate: di una scandalo che potrebbe far deragliare sul nascere l’amministrazione Trump. Troppo deboli, divisi e incoerenti sono ancora i democratici, che anzi sembrano sperare di poter allungare la crisi per logorare la controparte e trarne un qualche vantaggio alle elezioni di mid-term del 2018. Insufficiente è, per quanto riguarda il Presidente, la strumentazione strettamente legale, poiché il passaggio ultimo sarebbe quello – tutto politico – dell’impeachment al Congresso. Troppo larghe, infine, sono le maggioranze repubblicane alla Camera e al Senato, soprattutto nel secondo, dove l’impeachment richiede il voto dei due terzi dei suoi membri e assai difficile appare anche una semplice riconquista democratica nel 2018 (tra i 34 seggi su 100 per i quali si voterà ben 25 sono infatti quelli che i democratici dovranno difendere).
Rispetto a queste dinamiche intra-repubblicane, tre sono le variabili cruciali che decideranno l’esito politico del Russiagate e, con esso, il futuro dell’amministrazione Trump. La prima, ovviamente, è rappresentata dalle scoperte che emergeranno nell’indagine condotta dal “procuratore speciale” Robert Mueller. Mueller è parso finora agire con piena autonomia e indipendenza al punto da decidere d’indagare perfino il Presidente per una possibile “ostruzione della giustizia”. Negli ultimi giorni è emersa la voce che Trump sarebbe tentato dall’idea di licenziarlo. Sarebbe una mossa improvvida e auto-lesionista, con riverberi a catena dentro lo stesso Dipartimento della Giustizia che metterebbe in rotta di collisione Trump con i più importanti membri repubblicani al Congresso. Più probabile, invece, che si scelga la linea adottata finora, nell’auspicio che l’omertà, la lealtà di molti collaboratori e, in ultimo, la portata limitata dello scandalo possano tutelare e proteggere Trump. Che, va detto, almeno fino a oggi ne è stato lambito molto meno di quanto non s’immaginasse.
La seconda variabile è rappresentata dalla base repubblicana: da un’opinione pubblica che ancor oggi sembra essere schierata massicciamente dalla parte del Presidente. Abbiamo visto in passato come questo sostegno sia difficilmente scalfibile e, di conseguenza, quanto difficile sia per importanti leader del partito criticare Trump senza pagare un pesante dazio politico e, in prospettiva, elettorale. A dispetto degli scandali e di un primo semestre di Presidenza a dir poco turbolento, tale sostegno rimane ancor oggi assai solido. Secondo i sondaggi Gallup circa l’85% degli elettori registrati come repubblicani dà un giudizio positivo dell’operato di Trump; una chiara maggioranza ritiene che anche se laddove pienamente provate, le ingerenze russe nella campagna elettorale, e le collusioni con alcuni consiglieri del Presidente, non costituirebbero un problema in sé rilevante. Per il momento Trump rimane insomma saldamente in sella e anche nuove, grande rivelazioni potrebbero alterare solo in parte questa variabile cruciale.
Terzo e ultimo: la reciproca dipendenza tra Trump e quelle maggioranze repubblicane al Congresso che potrebbero in ultimo tradirlo e abbatterlo. L’agenda repubblicana è solo agli inizi e abbisogna dell’appoggio del Presidente e del consenso che questo garantisce tra gli elettori del suo partito. Per certi aspetti, lo scandalo ha già determinato l’abbandono di una linea di politica estera – centrata sul riavvicinamento alla Russia di Putin – che molti senatori repubblicani avversavano e che hanno potuto infine affondare. Dai tagli alle tasse al rovesciamento della riforma sanitaria, molteplici sono i fronti rispetto ai quali la collaborazione è indispensabile (e le recenti critiche di Trump alle proposte in materia di sanità discusse dai repubblicani al Senato indicano chiaramente come il Presidente sappia di avere ancora molte frecce al suo arco). È ovviamente uno spregiudicato matrimonio d’interesse, quello tra le due parti. E tale è stato dal momento in cui Trump ha deciso di correre alle primarie del partito. Ma gl’interessi e il cinismo, come ben sappiamo, possono cementare o quantomeno tenere in vita anche le unioni più bizzarre e improbabili.
Il Mattino, 16 giugno 2017