Mario Del Pero

Velleitarismi macroniani

Ha sorpreso un po’ tutti la decisione di Emmanuel Macron d’invitare Donald Trump a trascorrere a Parigi la festa nazionale del 14 luglio. Il pretesto è rappresentato dal centennale dell’ingresso degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale e dalla volontà di riaffermare la solidità dell’alleanza franco-statunitense. Le logiche che sottostanno a questa strana iniziativa di Macron, le condizioni che la consentono e gli obiettivi che egli si propone di raggiungere sono plurimi.
Agisce in primo luogo un assunto consolidato, ancorché discutibile, della cultura strategica francese, secondo la quale le capacità militari di Parigi e la disponibilità a farne uso (in Siria come nei teatri delle operazioni africane di peacekeeping) farebbero della Francia un interlocutore privilegiato se non addirittura un partner speciale degli Stati Uniti. Cementato da un comune, sobrio realismo, questo legame non sarebbe scalfibile né dalle contingenze politiche né dalle distanze ideologiche, anche quelle più marcate come nel caso di Macron e Trump.
Vi è, in secondo luogo, la volontà di usare il rapporto con gli Usa per riequilibrare la marcata asimmetria che contraddistingue gli equilibri interni all’Unione Europea. Come sappiamo bene, negli ultimi anni la UE si è fatta vieppiù tedesco-centrica. Macron pensa evidentemente di poter usare questo presunto asse con Washington per affermare una centralità francese nelle relazioni transatlantiche da spendersi poi anche nel contesto europeo.
Può cercare di farlo, terzo aspetto, anche perché le elezioni sono alle spalle. Non deve fare i conti, il Presidente francese, con i condizionamenti elettorali e, di conseguenza, con la forte ostilità di larga parte delle opinioni pubbliche europee nei confronti di Donald Trump. Sondaggi recenti ci dicono che la popolarità di Trump in Francia è a livelli bassissimi: solo il 14% degli intervistati esprime fiducia nel Presidente americano; un anno fa, con Obama, la percentuale era dell’84%. Se si votasse a breve, difficilmente il candidato Macron potrebbe permettersi di trascorrere il 14 luglio in compagnia di Trump. Ma il problema per lui non si pone. Laddove la Merkel è spinta ad alzare la soglia della contrapposizione con l’amministrazione Usa nella consapevolezza che ciò le possa giovare alle urne, il calendario elettorale francese libera da Macron da tali vincoli.
Quarto e ultimo: l’incentivo, sempre presente per i nuovi leader europei, di usare la scena internazionale come strumento di rafforzamento politico se non di vera e propria legittimazione. Dalla sua elezione in poi, Macron ha cercato quasi ossessivamente l’interazione – a volte conflittuale a volte amichevole – con Trump. Il gioco appare evidente e a onor del vero anche piuttosto ingenuo. Ai francesi e al resto d’Europa sembra quasi si voglia comunicare che grazie alla sua nuova, dinamica guida, la Francia macroniana possa ambire a contenere l’irruenza di Trump, a moderarne le politiche e ad accompagnarne l’evoluzione sulla strada, solo temporaneamente abbandonata, di un tradizionale atlantismo.
Al presidente americano non parrà probabilmente vero di avere i riflettori dirottati per qualche ora lontano dagli Stati Uniti, dove divampa la polemica sulle ingerenze russe nelle elezioni del 2016 e le collusioni con il suo staff e la sua stessa famiglia. Riflettori che peraltro torneranno presto ad accendersi assieme al rischio, piuttosto concreto, che sia questa amministrazione sia la grandeur transatlantica di Macron risultino effimeri quanto e più dei sogni di una notte di mezz’estate del 2017.

Il Giornale di Brescia, 14 luglio 2017