E se Theresa May per una volta avesse ragione?
Che vi siano calcoli politici, finanche spregiudicati, dietro la dura presa di posizione europea e atlantica contro Mosca è palese. Ma soffermarsi solo su di essi rischia davvero di minimizzare le gravissime responsabilità russe, offrendo alibi che Putin oggi non merita. È chiaro come tutti i principali attori coinvolti agiscano cercando di capitalizzare su questa ennesima crisi tra Russia e Occidente. Teresa May vi scorge un modo per uscire dall’angolo in cui si è venuta a trovare per insipienza politica e impopolarità diffusa; nulla, in certe situazioni, aiuta di più di una crisi internazionale e di facili capri espiatori come Putin. Macron – sembra contro il parere di alcuni suoi stretti collaboratori – cavalca la vicenda nel suo velleitario tentativo di assumere le redini di un’Europa che a dispetto di tutto rimane Berlino-centrica. La Polonia e i paesi baltici cercano di alimentare e sfruttare critiche a Mosca che talora tracimano in vera e propria russofobia. Trump è ormai in balia dei falchi neoconservatori – come ben evidenziano le nomine di Pompeo a Segretario di Stato e di Bolton a Consigliere per la Sicurezza Nazionale – che nella loro ostilità a Mosca convergono con larga parte dell’establishment di politica estera, liberal e conservatore, e con la quasi totalità dei parlamentari repubblicani, da sempre ostili alla linea della distensione con la Russia inizialmente fatta propria dal Presidente. Un Presidente che oggi, sotto la spada di Damocle dell’inchiesta sulle ingerenze russe nella campagna del 2016, ha tutto l’interesse a seguire la linea della fermezza nei confronti del Cremlino.
Tutto vero e tutto giusto. Limitarsi a questa sola variabile dell’equazione rischia però di generare analisi al meglio parziali e al peggio scorrette se non, addirittura, negazioniste. Che negano cioè le gravi e pesanti responsabilità della Russia e di chi la guida. Per quanto sia lecito essere scettici sull’assoluta affidabilità dell’intelligence prodotta nelle nostre capitali (un altro dei tanti effetti negativi della sciagurata avventura che nel 2002-3 portò all’intervento militare in Iraq), è difficile immaginare che una simile unità d’intenti dentro l’Europa e sull’asse transatlantico non sia stata ottenuta grazie a prove forti sulla responsabilità russa nell’avvelenamento, avvenuto il 4 marzo scorso nella cittadina inglese di Salisbury, dell’ex spia Sergei Skripal e della figlia. L’agente chimico utilizzato è di fabbricazione sovietica e abbiamo alcuni, eclatanti precedenti a partire dall’uccisione, in quella occasione col polonio-210, nel 2006 e sempre nel Regno Unito di un altro ex agente russo, Aleksandr Litvinenko. Skripal, è bene ricordarlo, era un cittadino britannico. E gli effetti collaterali avrebbero potuto essere ben peggiori, per quanto un poliziotto sia stato gravemente avvelenato e una quarantina di abitanti di Salisbury, dove Skripal risiedeva, siano rimasti intossicati.
Se fosse confermata la responsabilità russa, si tratterebbe di un atto inaudito per protervia e spregiudicatezza. Inaudito, ma non del tutto sorprendente. E questo ci porta al secondo punto che spiega la risposta unitaria e dura di questo rinnovato fronte transatlantico. Ossia la credibilità della tesi che dietro quanto avvenuto a Salisbury vi possa essere la lunga mano di Putin. Un’ipotesi plausibile, questa, perché tante e reiterate sono state negli ultimi anni le provocazioni russe. Perché Mosca ha in più occasioni promosso, e finanche esibito, azioni finalizzate a destabilizzare il contesto mondiale e quello europeo in particolare. Dalle ingerenze, ormai acclarate, nella campagna elettorale statunitense di due anni fa ai finanziamenti a forze politiche radicali e anti-EU al sostegno ad Assad in Siria, tante, troppe, sono stati le sfide di Putin. Le responsabilità non sono mai unilaterali e gli Usa e i loro alleati di errori ne hanno compiuti molti, dalla goffa gestione del dossier ucraino al macroscopico errore dell’intervento in Libia nel 2011, che tanto ha inciso nel condizionare le successive azioni russe. Ed è possibile che questa nuova risposta finisca per aiutare Putin, alimentando quella retorica nazionalista e vittimista che ne contraddistingue da tempo il discorso politico. Ma alternative forse non erano davvero più date. E che per una volta Europa e Comunità Atlantica riescano ad agire in modo così unitario e compatto non è per nulla disprezzabile.
Il Mattino, 28 marzo 2018