Mario Del Pero

Presidenziali USA: Istruzioni per l’uso, Parte II

Sia Obama sia McCain rivendicano la
possibilità/necessità/capacità di modificare la mappa elettorale di quest’autunno,
alterando equilibri consolidati e ben in evidenza nel 2000 e nel 2004. Nulla
può essere escluso e dinamiche inattese potrebbero travolgere uno o l’altro
candidato. Oggi come oggi, però, è difficile non immaginare una competizione
stretta e serrata, destinata a essere decisa da pochi stati cruciali. Quali
sono gli swing states o, meglio, le swing regions di quest’autunno, sulle quali
McCain e Obama stanno già indirizzando le loro attenzione e, anche, le loro
risorse? Ne indico tre, in ordine decrescente d’importanza, riportando i dati
del 2004 come termine di paragone:

Il Midwest della Rustbelt


L’Illinois sarà ovviamente vinto da Obama. Secondo i
sondaggi, l’Indiana, vinta largamente da Bush nel 2000 e nel 2004, sarebbe
invece in gioco. Io faccio molta fatica a crederlo e suggerisco invece di
soffermarsi su 4 stati fondamentali: Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin.
In totale fanno 68 grandi elettori. Kerry ne conquistò 48 nel 2004, perdendo
solo in Ohio (e la sconfitta gli fu fatale). Obama deve quantomeno ottenere un
risultato simile, in stati – Ohio, Pennsylvania  – dove ha subito pesanti sconfitte nelle primarie (e se si fosse votato in Michigan non sarebbe andata granché diversamente). La situazione oggi è
assi diversa rispetto al 2004 e l’impopolarità dei repubblicani elevatissima. Ma qui si
concentra una parte di quel voto bianco che sembra rifiutare non tanto la proposta di Obama, quanto la sua identità di afro-americano, giovane e colto. Non è detto che quel voto vada tutto ai
repubblicani (l’astensione rimane un’opzione) e non è detto che tutto quel voto
sia necessario (Kerry conquistò la Pennsylvania, anche se Bush ottenne il 10%
in più di voti tra gli elettori bianchi senza una laurea). I
sondaggi, per quel (poco) che contano oggi, sono abbastanza incoraggianti per
Obama. Questa è però la regione cruciale dove si potrebbe vincere o perdere in
autunno.

Il Primo Sud

 
Mi riferisco qui soprattutto a Virginia e North Carolina,
persi dai democratici nel 2000 e nel 2004 e che assieme portano 28 grandi
elettori (rispettivamente 13 e 15). Sono stati particolari, soprattutto la
Virginia, che combinano una popolazione afro-americana quasi doppia rispetto a
quella nazionale (ca il 21% di quella complessiva in Virginia e il 22% in North Carolina), con la
presenza di giovani e di bianchi con reddito alto ed educazione universitaria,
che gravitano su Washington (in Virginia) e sui distretti high tech e le
cittadelle universitarie (a partire da Duke e da UNC-Chapel Hill) nel caso
della North Carolina. Si tratta – giovani, neri e bianchi benestanti – del
nucleo della coalizione obamiana.

Mettere in gioco Virginia e North Carolina vorrebbe dire cambiare
la dinamica della competizione elettorale, obbligando McCain a dirottarvi soldi
e risorse e generando possibili, ancorché improbabili, riverberi nel resto del sud .
Non è un caso che il primo viaggio post-nomination di Obama sia iniziato
proprio in North Carolina. E non è un caso che i primi sondaggi diano una
situazione di virtuale parità in Virginia (Rasmussen, di cui mi fido di più,
dice tre punti per McCain ovvero nulla).
 

Il Sudovest


Tre sono gli stati in gioco: New Mexico, Nevada, Colorado. Insieme
fanno 19 grandi elettori. Uno meno dell’Ohio. Bush li vinse tutti nel 2004.
Improbabile McCain possa fare altrettanto questo autunno. Qui Obama non attiva
dinamiche nuove, ma può sfruttare processi già manifestatisi negli ultimi cicli
elettorali: la clamorosa conquista di un seggio al senato da parte di Ken
Salazar in Colorado nel 2004; la popolarità di Richardson in New
Mexico, dal 2003 tornato in mano ai democratici ; la forza del sindacato dei lavoratori nel settore dell’alberghiera e
della ristorazione (la Culinary Workers’ Union) in Nevada; soprattutto il peso
dell’elettorato ispanico. Al quale non piace granché Obama, ma che difficilmente
sceglierà McCain, alla luce delle posizioni dominanti tra i repubblicani sui
temi dell’immigrazione.

Vi sono poi alcuni altri singoli swing states, a partire dal New Hampshire (4 grandi elettori) e dal Missouri (11), importanti soprattutto
per la loro valenza simbolica, in particolare il Missouri, dove nell’ultimo secolo hanno vinto tutti i candidati eletti presidenti, con la sola eccezione del 1956, quando
Adlai Stevenson prevalse di misura su Eisenhower. Detto questo, la partita
sembra giocarsi per il momento altrove e l’unità dei democratici sarà
fondamentale per mantenere un equilibrio a loro vantaggio nella Rustbelt.