Mario Del Pero

Le dimissioni di Daschle

È normale, e finanche fisiologico, che un Presidente appena
eletto faccia delle nomine sbagliate e sia costretto a frettolose retromarce.
Il processo di scrutinio pubblico a cui i membri di una nuova amministrazione
sono soggetti è severissimo e senza scampo: anche un semplice contributo non
pagato a una domestica può diventare noto, come ha scoperto Nancy Killefer,
chiamata da Obama a controllare la spesa pubblica e già costretta alle
dimissioni. Nomine controverse o troppo di parte, inoltre, possono non superare
l’ostacolo della conferma al Senato, come verificò a suo tempo Ronald Reagan
quando cercò invano di nominare Robert Bork alla Corte Suprema.
La rinuncia al suo incarico da parte del Segretario della
Sanità Tom Daschle, che solo recentemente aveva saldato il conto con il fisco pagando
140mila dollari tra tasse arretrate e sanzioni, non rientra però in questa
casistica. La vicenda costituisce un campanello d’allarme importante per Obama e
dà un segnale politico inequivoco.  Questo
per almeno tre ragioni. La prima ha a che fare con Daschle medesimo. Un
politico di lungo corso, l’ex senatore del South Dakota, ma sempre capace di
preservare un’immagine d’integrità, rigore e correttezza (anche a costo di
apparire debole e naif, come accadde nel 2002 quando da capogruppo democratico
al Senato fu travolto dal ciclone Bush). E uno dei primi leader “anziani” del
partito democratico a riconoscere il potenziale di Obama, ad abbracciare la
retorica obamiana del cambiamento e a fare da tutore del giovane senatore
dell’Illinois nella sua corsa verso la Casa Bianca. L’ombra
di Daschle si proietta in altre parole su Obama stesso, che fino all’ultimo ha
cercato di difenderlo, scaricandolo solo quando non erano rimaste altre
possibilità.
La seconda indicazione di questa vicenda è che l’America sta
cambiando e che la politica ne deve tenere conto. L’intensificazione
dell’intreccio tra affari e politica, la diffusione di attività lobbistiche che
non sembrano conoscere confini, le porti girevoli che collegano gli uffici del
Congresso a quello delle tante lobby che operano a Washington costituiscono una
situazione tollerabile in anni di benessere e abbondanza, ma assolutamente
inaccettabile oggi. Certo, fa sorridere vedere i repubblicani attaccare Daschle
e Obama dopo aver tollerato per anni forme di corruzione senza precedenti,  istituzionalizzato il clientelismo delle
nomine politiche e concesso appalti milionari ad aziende, come la Halliburton, nei cui boards
sedevano fino a pochi mesi prima membri della stessa amministrazione. Ma ciò non
può essere motivo di consolazione per Obama. Il Presidente ha promesso di
ripristinare regole e codici etici oggi assenti o aggirati, ma si è trovato in
pochi mesi ad affrontare una serie di problemi in questo ambito, sul quale sono
già caduti almeno due potenziali membri di altissimo profilo della sua
amministrazione (l’altro, oltre a Daschle, era stato Bill Richardson a cui
Obama intendeva affidare il dipartimento del Commercio). Obama rappresenta e
incarna il cambiamento, ma si è anch’egli formato politicamente nel clima
tollerante e deontologicamente vizioso dell’ultimo ventennio e si è fatto
strada dentro una macchina politica, quella democratica di Chicago, tra le più
brutali e corrotte d’America. Da questo passato deve ora dimostrare di poter
affrancare se stesso e la sua amministrazione, pena una perdita di credibilità
e forza politica che già comincia a manifestarsi nei rapporti con il Congresso.
Il terzo e ultimo segnale politico è però quello più
preoccupante. La nomina di Daschle alla Sanità era una scelta politicamente
pesante: perché indicava la precisa volontà di Obama di investire un forte
capitale politico nella riforma del costosissimo e inefficiente sistema
sanitario statunitense; perché su questi temi Daschle si è sempre impegnato,
maturando competenze e preparazione. Ora tutto si fa improvvisamente più
difficile. Può darsi che Obama rilanci subito e sfidi i suoi oppositori
anticipando i tempi della riforma. A Obama il coraggio non manca: queste prime
due settimane di Presidenza sono state caratterizzate da un dinamismo
straordinario, che ha permesso di ottenere subito risultati importanti e dalla
forte valenza simbolica. Ora come ora, però, mettere mano alla Sanità appare
più difficile e improbabile.

(Il Mattino, 5 febbraio 2009)

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