Mario Del Pero

I dibattiti: una delle ultime chance di Romney

Nel periodo tra le due le convention d’inizio settembre e oggi, Obama ha maturato un significativo vantaggio nei sondaggi, che su scala nazionale gli attribuiscono ora tra i tre e i sei punti percentuali in più rispetto a Romney. Un dato, questo, che diventa ancor più importante se si considerano alcuni degli stati cruciali per l’esito del voto in novembre – Florida, Ohio e  Wisconsin – dove lo scarto a vantaggio del presidente è anche maggiore.

Pesano le gaffe e gli errori di Romney. Ma pesa, anche, la decisa virata a destra dei repubblicani che aliena segmenti importanti dell’elettorato, su tutti le minoranze e i giovani. La stessa scelta di Paul Ryan come candidato vice-presidente pare essere stata controproducente. Liberista radicale, favorevole allo smantellamento dello stato sociale, Ryan sembra avere spaventato molti anziani con le sue proposte di parziale privatizzazione dell’assistenza sanitaria agli over-65. Stando ai medesimi sondaggi, un pezzo di elettorato a chiara maggioranza repubblicana, quello degli uomini bianchi con più di 65 anni, è ora improvvisamente in gioco. Prendiamo ad esempio la Florida, luogo dove la percentuale di anziani è decisamente sovra-rappresentata rispetto al resto del paese (il 17.6% contro il 13.3% a livello nazionale). In agosto, prima della scelta di Ryan, Obama aveva uno svantaggio del 4% tra gli over-65 residenti nello stato; oggi nello stesso gruppo il suo vantaggio su Romney è invece di tredici punti percentuali.

In questo contesto, le speranze di Romney di poter conquistare la presidenza si sono decisamente affievolite. Manca, sì, ancora più di un mese, e molto può ancora accadere: un qualche passo falso di Obama, dati particolarmente negativi in materia di occupazione (il prossimo rapporto sull’occupazione sarà reso noto venerdì), improvvise crisi internazionali che l’amministrazione dovesse mal gestire. È però chiaro che Romney deve puntare tutto sui tre dibattiti presidenziali, a partire da quello di questa sera a Denver, per cercare di ravvivare le sue chance di vittoria.

Da quando furono introdotti nel 1960, i dibattiti televisivi catalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica più di qualsiasi altro evento elettorale, convention incluse. Sono il momento più eccitante delle campagne presidenziali. Uno dei pochi in grado di produrre uno share tv competitivo con le partite di football e la serata degli Oscar. Certo, siamo oggi lontani dai tempi del dibattito Nixon-Kennedy del 1960, quando quasi ottanta milioni di americani – il 75% della popolazione adulta – accesero il televisore per seguire il confronto. Nel 2008 i dibattiti tra Obama e McCain attrassero comunque circa sessanta milioni di telespettatori (il 23% dello share) e cifre non dissimili sono immaginabili per quest’anno.

Raramente i dibattiti sono però in grado di alterare le dinamiche elettorali, per quanto rimangano nella storia le gaffe dei candidati (Ford nel ’76), le loro efficaci battute (Reagan nel 1984), la loro goffaggine (Dukakis nel 1988 e Gore nel 2000) e la loro sconcertante impreparazione (Bush nel 2004). Nondimeno, nella situazione attuale essi offrono a Romney forse l’ultima opportunità per rovesciare la tendenza consolidatasi nelle ultime settimane. Dovrà, Romney, incalzare Obama. Puntando, ovviamente, sull’economia e cercando di porre al centro della discussone quei temi – i disastrati conti pubblici e la crescita del debito – che interessano all’elettorato indipendente e non schierato molto di più di quelli cari a tanta destra repubblicana. E dovrà puntare sugli eventuali errori e tentennamenti del Presidente. Perché uno dei vantaggi – dei pochi vantaggi – che lo sfidante ha nelle campagne presidenziali è proprio quello di disporre di molto più tempo per preparare i dibattiti televisivi.

Giornale di Brescia, 3 ottobre 2012