Mario Del Pero

Sandy, il buon governo e la campagna elettorale

Lo si temeva. Ma si sperava che, come con Irene nell’agosto del 2011, l’allarme fosse eccessivo. Che si fosse esagerato per cautelarsi. E gran parte della giornata di ieri è trascorsa con questa sensazione, di paura e mobilitazione immotivate. Osservando le reti televisive locali impegnate nella copertura non stop dell’evento e i loro cronisti disperatamente alla ricerca di un luogo – le spiagge di Jersey Shore, la punta meridionale di Manhattan a Battery Park, le zone più esposte del Queens – le cui condizioni giustificassero una simile mobilitazione. La lieve pioggerellina e i venti, forti ma per nulla devastanti, anche quelli sembravano rassicurare. In un paese ossessionato dalle previsioni del tempo, la sovreccitazione mediatica poteva risultare comprensibile ma priva di giustificazione.

Poi, però, Sandy è arrivato. A ricordarci quanto male possa fare la natura quando muove appieno le sue forze. Quanto vulnerabili siano le città costiere, anche quelle più allenate e pronte, come è certamente New York. E a ricordarci, infine, perché sia meglio sbagliare per eccesso di preoccupazione che per suo difetto. Una lezione che sembrava essere stata appresa dopo la disastrosa gestione dell’uragano Kathrina a New Orleans nel 2005, ma che spesso sia la politica sia i cittadini preferiscono dimenticare.

L’intensità del vento è cresciuta esponenzialmente; la gestione della rete elettrica si è fatta insostenibile e il buio è sceso rapido su diverse parti della città. Che ora sono prive di elettricità, collegamenti telefonici e, talora, anche acqua corrente. Difficile fare previsioni sui tempi di un ritorno alla normalità che si preannunciano comunque lunghi e complessi. Meno difficile fare i complimenti a chi – agenzie federali, governi statali e municipali – ha operato con lungimiranza, efficacia e d’anticipo, prevenendo esiti potenzialmente catastrofici.

Sandy ha oscurato la campagna elettorale e non poteva essere altrimenti. Ma il 6 novembre è ancora più vicino e ci s’interroga su quali potranno essere le implicazioni elettorali di questa calamità. Forse nessuna, sostengono molti, visto la situazione di sostanziale pareggio che tutti i sondaggi sembrano indicare, sì da rendere quella del 2012 una delle elezioni più difficili da prevedere di sempre. O forse saranno molti, e potenzialmente sfavorevoli a Obama e ai democratici, che nelle operazioni di voto anticipato avevano investito moltissimo per mobilitare appieno il proprio elettorato anche in stati, su tutti la Virginia, colpiti da Sandy, che potrebbero risultare decisivi martedì prossimo.

Se c’è un’indicazione forte però che emerge da questa vicenda, che Obama quasi certamente cercherà di sfruttare negli  ultimi giorni prima del voto, è l’importanza di avere un governo forte e presente, a livello federale e locale. Il partito delle poche tasse e del governo minimo – quello che vorrebbe togliere finanziamenti ad alcune della agenzie federali impegnata nella gestione dell’emergenza Sandy – sarà chiamato a spiegare come si possa rispondere a crisi come questa con i livelli di spesa pubblica che conseguirebbero ai tagli proposti da Romney e, ancor più, dal suo vice Ryan. Nel mentre il governo, il buon governo, può osservare quanto fatto in questi giorni per trovare una spiegazione più convincente del suo ruolo e delle sue funzioni di quelli che Obama ha fatto così fatica ad articolare durante la campagna elettorale.

Il Messaggero/Il Mattino, 31 ottobre 2012