Mario Del Pero

Obama e l’interventismo low cost

Sono un Obama e un’America molto diversi rispetto a quattro anni fa quelli che si apprestano a celebrare l’apertura del secondo mandato presidenziale, con il discorso inaugurale di questa sera. Invecchiato più rapidamente di altri presidenti e logorato dai meccanismi di una politica che in più occasioni ha dimostrato di non comprendere e padroneggiare, Obama appare oggi un leader maturo e finanche cinico più che il visionario e fresco trascinatore del 2008. Un leader capace sì di guadagnare il rispetto del suo paese, ma non di elettrizzarlo e, in una certa misura illuderlo, come quattro anni fa. L’America è invece un’America più sobria e meno sognante; inasprita dalla crisi economica del 2008 e diffidente, se non ostile, verso una politica che non sembra perdere l’occasione per dare cattiva prova di sé.

La vittoria elettorale ha conferito a Obama un rilevante capitale politico che è stato speso con una certa efficacia nelle prime battaglie politiche post-elettorali, dal fiscal cliff all’aumento del tetto del debito. Il consenso nei confronti del presidente è cresciuto laddove sono calati considerevolmente quelli sia del Congresso sia della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti. Con il loro radicalismo i repubblicani si sono spinti ormai in un angolo: se proseguono sulla strada dell’intransigenza perdono ulteriori consensi; se accettano mediazioni e compromessi risultano sconfitti, perché finiscono per inquinare quella purezza ideologica che pare essere diventata la loro sola cifra identitaria.

Obama userà questo stato di cose per promuovere riforme dall’alta valenza simbolica, come fu quella sulla sanità. Otterrà quasi certamente vittorie facili, in particolare sull’immigrazione. E, stando a quanto abbiamo visto in questi ultimi giorni, darà battaglia per introdurre meccanismi e controlli più severi sulla vendita e il possesso di armi da fuoco, trovando un’opposizione sì agguerrita, ma oggi sulla difensiva.

Sui terreni, cruciali e intrecciati, della politica estera e di quella economica si giocherà però la partita decisiva. Ambiti, questi, ricchi di dilemmi e contraddizioni rispetto ai quali la coperta immaginata da Obama e dai suoi consiglieri potrebbe infine rivelarsi troppo corta. L’obiettivo di ridurre le spese per la difesa, disimpegnarsi dai teatri iracheno e afghano, proseguire la campagna anti-terroristica globale e sostenere le forze della primavera araba è stato promosso attraverso una combinazione apparentemente paradossale, nella quale la spregiudicatezza operativa si è combinata con la cautela diplomatica, l’uso ampio di strumenti non ortodossi con il rifiuto d’impegnare direttamente le forze armate statunitense e i loro mezzi senza pari. Ne è derivata una politica basata su operazioni clandestine, utilizzo intensivo dei droni, eliminazioni mirate di terroristi o sospetti tali, pratiche – su tutte la rendition – simili a quelle utilizzate negli anni di Bush. Ma ne è derivata anche la scelta di delegare a terzi la guida di importanti azioni internazionali, in occasione ad esempio dell’operazione che ha portato alla caduta del regime di Gheddafi in Libia, o di agire con cautela prossima alla passività, come nel caso della Siria o dell’ultima crisi in Mali.

Vicenda, questa, rivelatrice dei limiti e delle contraddizioni di un interventismo low cost come quello che sembra definire la politica estera e di sicurezza di Obama. In virtù del quale rimane ignoto il rapporto tra il numero di terroristi che si eliminano e di quelli che, adottando certi metodi, si creano; si sostengono e addestrano forze locali che – come nel caso dell’esercito golpista in Mali – si rivelano infine inaffidabili; e si lascia ad altri la guida di operazioni che per essere portate a termine abbisognano però delle risorse e dei mezzi militari di cui solo gli Stati Uniti dispongono.

La capacità del leader del sistema internazionale (e gli Usa ancora lo sono) di influenzare le relazioni internazionali dipende tanto dalla sua potenza quanto dalla capacità di farne un uso oculato e selettivo. Nell’ultimo decennio, le contraddizioni della potenza americana e il suo utilizzo, eccessivo e affatto accorto, hanno di molto eroso l’influenza globale degli Usa. Che Obama ha in parte ripristinato, con scelte, però, che rischiano di creare nuovi dilemmi e problemi.

 

Il messaggero, 21 gennaio 2013