Mario Del Pero

Interdipendenze e competizioni

È difficile sottostimare l’importanza e la valenza simbolica del summit californiano di questa settimana tra Barack Obama e il nuovo presidente cinese Xi Jinping.

Quella tra Cina e Stati Uniti è infatti la relazione centrale del sistema internazionale odierno. È sull’asse Pechino-Washington che corrono le interdipendenze più significative, profonde e per molti aspetti contraddittorie del mondo contemporaneo. Lo si vede bene negli strettissimi rapporti commerciali, che fanno della Cina il secondo partner degli Usa, dopo il Canada, e il primo esportatore verso un mercato, quello americano, che ha avuto e continua ad avere un ruolo cruciale nel boom economico cinese. Ma lo si vede anche nella questione del debito statunitense, finanziato in parte da investitori non-americani, interessati a sussidiare la capacità di consumo, a debito, degli Stati Uniti: quella bulimia del mercato statunitense che ha costituito il principale volano della crescita mondiale nell’ultimo trentennio. Non è un caso che questi investitori siano capeggiati dalla Cina, che nel corso degli anni Novanta ha rimpiazzato il Giappone come principale acquirente di titoli del Tesoro americani e che oggi, nonostante lo sforzo di diversificare maggiormente le sue riserve, siede su una quantità sterminata di dollari, stimata in quasi 2mila miliardi. L’interdipendenza sino-statunitense la si vede infine anche nell’attività imprenditoriale e nei processi di delocalizzazione e riorganizzazione della catena produttiva, dove le fabbriche cinesi svolgono oggi un ruolo centrale, in particolare in alcuni settori strategici fondamentali, a partire dall’informatica.

È, quello tra Cina e Stati Uniti, un legame strettissimo e ineludibile. Ma è anche un legame fondato su contraddizioni profonde, capaci di alimentare tensioni potenzialmente incontrollabili. Gli squilibri commerciali, e il forte deficit degli Stati Uniti (per i quali il rapporto import-export con la Cina è di circa quattro a uno), imporrebbero una alterazione radicale del tasso di cambio e un rafforzamento ben maggiore della valuta cinese, il renminbi, sul dollaro. Ciò però nuocerebbe alla competitività di un’economia fondata sulle esportazioni e determinerebbe una consistente riduzione del valore delle riserve cinesi. Sulle relazioni commerciali incidono inoltre le frequenti accuse che gli Usa muovono alla Cina di praticare spionaggio industriale, di non rispettare patenti e licenze e, più in generale, di violare reiteratamente le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, chiamata oggi a confrontarsi con numerosi contenziosi tra i due paesi. Infine, un’azione coordinata di sostegno alla crescita globale imporrebbe una correzione di queste macroscopiche storture, e un impegno cinese a surrogare con i propri consumi interni la riduzione di quelli statunitensi ed europei (secondo gli ultimi dati di cui disponiamo, il livello di risparmi rispetto al reddito sfiora il 40% per le famiglie cinesi, laddove non supera il 3/4% per quelle americane).

Queste contraddizioni rischiano di essere esacerbate dai nazionalismi sempre vivi dei due paesi. Dall’incapacità di parte dell’opinione pubblica e del mondo politico statunitensi ad accettare una riduzione dell’influenza americana nel mondo, integrando il gigante cinese nell’ordine internazionale corrente. E dalla propensione di alcuni settori cinesi a sfidare con modalità radicali l’egemonia americana, in particolare in Estremo Oriente, come si è ben visto in occasione delle recenti dispute con il Giappone su alcune insignificanti isole nel Mare Cinese Orientale. L’interesse spinge alla collaborazione; la necessità impone la correzione di alcuni insostenibili squilibri; la passione e gli opportunismi politici fomentano tensione e competizione. Queste pressioni contrastanti qualificano la relazione più importante del sistema internazionale e obbligano le due parti, e chi le guida, a gestire con attenzione e responsabilità estreme un rapporto delicato e straordinariamente complesso

Il Giornale di Brescia, 5 giugno 2013

1 Commento

  1. http://www.maysvillepresbyterian.com/

    I think that is true that reading helps with writing too. The only problem with it for me is that I’m so easily influenced and find myself thinking in the author’s voice sometimes … and sometimes that transfers to my writing, but I usually notice pretty quickly that that isn’t the way I speak and I will reword it.Does that happen to you?

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