Mario Del Pero

Il dramma ucraino e il complesso gioco geopolitico che lo accompagna

 

Le immagini drammatiche e sconvolgenti che giungono da Kiev riportano alla memoria l’ultima, terribile guerra civile in Europa: quella che travolse la Jugoslavia nel corso degli anni Novanta. Le due situazioni sono in realtà diversissime e l’Ucraina non è in alcun modo paragonabile al mosaico religioso e nazionale jugoslavo. Anche nel caso della crisi ucraina, però, le caotiche dinamiche interne s’intrecciano con un complesso groviglio internazionale e con le interdipendenze che legano tra loro l’Ucraina medesima e i tre soggetti esterni coinvolti nella crisi: la Russia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Soggetti bisognosi l’uno dell’altro, ma che in Ucraina hanno, e perseguono, obiettivi diversi e probabilmente inconciliabili. E che esprimono approcci diplomatici e finanche culture politiche tra loro assai diversi.

L’Unione Europea ha rivelato, una volta ancora, quel bizzarro e contradditorio mix di forza e debolezza che pare contraddistinguerne la natura e identità. A dispetto di tutto, il desiderio di Europa – la forza quasi mitopoietica del modello europeo di prosperità, democrazia, diritti e libertà – mostra ancora la sua tenuta e attrattività. Un desiderio e una fascinazione, questi, che hanno contraddistinto la storia del processo d’integrazione europea, dotando l’UE di un soft power talora impareggiabile, ma che di rado si traduce in effettivo potere politico e diplomatico, come il dramma ucraino ben evidenzia. Rispetto al quale l’UE ha scelto – per necessità, convenienza e, appunto, cultura politica – una linea di basso profilo, nella convinzione che pressioni troppo palesi potessero risultare controproducenti e alimentare la rigidità del fronte governativo. Le violenze degli ultimi giorni e l’acclarata inaffidabilità del presidente Yanukovich stanno inducendo a un cambiamento di linea promosso da quell’asse franco-tedesco che, piaccia o meno, rappresenta la forza motrice indispensabile di qualsiasi azione europea. La maggior fermezza dell’UE – simboleggiata dalla convergenza con gli Usa sull’ipotesi d’imporre sanzioni mirate, con cui colpire gli stessi oligarchi vicini a Yanukovich – risponde anche alle pressioni di opinioni pubbliche inorridite da quanto sta accadendo in Ucraina. Ma non pare essere accompagnata da una strategia coerente e definita. I diversi obiettivi indicati anche nel vertice tra Hollande e Merkel risultano infatti tra loro poco complementari, se non addirittura contradditori: la fine di Yanukovich non garantisce affatto il ripristino della stabilità; l’ipotetico allargamento dello spazio europeo cozza contro la volontà di non alienare un partner, quello russo, ancora fondamentale; il sostegno all’eterogeneo fronte dell’opposizione non è probabilmente compatibile col desiderio di prevenire un’ulteriore escalation delle tensioni. Per quanto giustificati, maggiori impegno e ingerenza europei non sono, in altre parole, sinonimi di risoluzione pacifica della crisi.

Problemi in parte analoghi hanno gli Usa. Sotto le forti pressioni di una parte del mondo politico, l’amministrazione Obama ha assunto, almeno a parole, una linea più intransigente, valutando ben prima della UE la possibilità d’imporre delle sanzioni. Eppure gli Usa hanno bisogno della Russia quanto e più dell’Europa, in particolare sui cruciali dossier iraniano e siriano. Obama, poi, ha da tempo abbandonato qualsiasi piano di ulteriore ampliamento dello spazio di sicurezza euro-atlantico, subordinato oggi a quel teatro dell’Asia-Pacifico che è considerato la vera priorità strategica degli Stati Uniti.

Resta infine la Russia. Che sull’Ucraina ha adottato una rozza e ostentata strategia neo-imperiale, spendendo sia il suo rinnovato (ed esagerato) potere sia la sua indispensabilità diplomatica. Una Russia, però, che come già fu spesso per l’Unione Sovietica sembra agire sulla base di una concezione unilaterale della potenza, e una conseguente incapacità di “fare egemonia” anche in quei paesi, come l’Ucraina, che dovrebbero cadere quasi naturalmente nella sua sfera d’influenza. E che invece ai condizionamenti russi – e alle modalità talora grossolane con le quali vengono gestiti e imposti – cercano di sottrarsi, rivelando una fragilità del gigante russo che a molti oggi sembra sfuggire. La manifesta incapacità della Russia di aiutare a risolvere una crisi come quella ucraina è infatti rivelatrice di tutte le intrinseche fragilità del regime putiniano. E di quanto manchi, all’Europa e al sistema internazionale, una Russia più responsabile e meno mossa da istintivi riflessi anti-occidentali.

Il Messaggero, 21 febbraio 2014