Mario Del Pero

Generazione Bataclan

La terribile strage di Orlando ci dice tre cose. La prima è che, come a Parigi, ad essere colpita è una generazione: essa e quel che rappresenta, simboleggia ed è destinata a produrre. È, questa, la “generazione Bataclan”: i 20/30enni cresciuti nella bellezza della diversità, nella quotidianità del pluralismo e nell’ovvietà della tolleranza. Pratiche e valori che un certo, bigotto oscurantismo scambia per lascivia e assenza di principi. Quello di Orlando è un attentato omofobo perché colpisce chi sta sull’ultima frontiera dei diritti civili, gli omosessuali appunto. Che questi diritti li hanno conquistati con importanti battaglie politiche, significativi successi legislativi e cruciali sentenze della Corte Suprema, che negli Usa hanno infine annullato le leggi statali che vietavano il matrimonio a coppie dello stesso sesso. Tra gli under-30 statunitensi il sostegno a questa decisione si attesta attorno all’80%. Per loro è la normalità, come è giusto e logico che sia.
Una normalità che rimane però esposta a quotidiani pericoli. Che non può essere data per scontata. A maggior ragione laddove esiste un marchio – un brand territorializzato e statualizzato, quello dell’ISIS – che del rigetto di questa modernità plurale e multicolore ha fatto la propria bandiera. È questa la seconda indicazione della strage di Orlando. È molto probabile che essa sia opera di un cane sciolto; che non vi siano dietro la rete di appoggi e la struttura logistica che hanno connotato invece gli attentati di Parigi e di Bruxelles. L’ispirazione viene però dal radicalismo di matrice religiosa: i cupi simboli dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante albergano nell’immaginario di questi terroristi; hanno un potere mobilitante che non può né deve essere sottovalutato; alimentano uno spirito emulativo che nelle maglie larghe e tolleranti della nostra società trova modo di essere dispiegato.
E questo ci porta alla terza indicazione: il rischio che la portata della minaccia, e l’inesistenza di scorciatoie e soluzioni facili, possa creare un terreno assai fertile per i demagoghi e gli estremisti di casa nostra. I Donald Trump che di odio e paura si nutrono e che su di essi prosperano politicamente ed elettoralmente. Il candidato repubblicano ha subito cercato di capitalizzare sull’attentato, chiedendo addirittura le dimissioni di Obama. Le sue poche possibilità di successo in novembre dipendono proprio dall’esistenza di un clima diffuso e pervasivo di paura che altri atti terroristici inevitabilmente alimenterebbero. Dipendono dalla possibilità di riprodurre, ovviamente con altri metodi, quella logica amico-nemico che muove l’azione del terrorismo fondamentalista. Ed è anche contro quest’altro oscurantismo che la “generazione Bataclan” è chiamata oggi a rispondere, negli Usa come in Europa.

Il Giornale di Brescia, 14 giugno 2016